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Dossier Porti, fusioni e crescita - Il 2016 è l'anno di svolta

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    Dossier | N. 6 articoliRapporti24 / Infrastrutture & logistica

    Porti, fusioni e crescita - Il 2016 è l'anno di svolta

    Mentre lungo le rotte del Mediterraneo il traffico commerciale è triplicato, in Italia, tra il 2005 e il 2014, il traffico merci ha perso il 6,5%, e quello passeggeri il 7 per cento. In altre parole, il nostro Paese è riuscito a fare un piccolo capolavoro: è riuscito a perdere occasioni di crescita, pur occupando nel Mediterraneo una posizione strategica e, per di più, in un contesto di trend economico settoriale complessivamente in crescita.
    Una dispersione di risorse e di efficienza che è stata quantificata in circa 50 miliardi all'anno, cifra pari, secondo la stima del ministero delle Infrastrutture, alla monetizzazione dell'inefficienza logistica italiana.

    Il piano della portualità - che dispiegherà i suoi effetti a partire dal 2016 - nasce per recuperare terreno, restituendo efficienza, coordinamento e gerarchia a un insieme di 24 porti con a capo altrettante Autorità indipendenti e “sovrane”. Un sistema che assomiglia più all'Italia di Lorenzo de' Medici che non alla dimensione moderna di Paese che deve essere in grado di competere su scenari continentali.

    Il primo vero colpo alla radice del “particolarismo portuale” è il decreto attuativo che il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, ha già predisposto e che rappresenta il binario lungo il quale organizzare i terminal in un vero sistema. Si tratta del primo decreto attuativo previsto dal piano nazionale per la portualità e logistica approvato questa estate.
    «Il decreto sulla governance degli scali è pronto e ora è all'attenzione del ministro della Pubblica amministrazione Madia», ha riferito il ministro pochi giorni fa all'assemblea degli armatori di Confitarma. La tappa successiva è l'approvazione in Consiglio dei ministri. Il provvedimento, salvo cambi di rotta, dovrebbe appunto contenere la “cura dimagrante” delle Autorità portuali, con il passaggio dalle attuali 24 entità indipendenti a 14 organismi, pari agli altrettanti porti italiani considerati “core” secondo la classificazione europea.

    Una riorganizzazione che vedrà una girandola di accorpamenti (non senza dolorosi mal di pancia dovuti al taglio di pregiate poltrone) come quelli tra Genova e Savona, Palermo e Trapani, Livorno e Piombino, Napoli e Salerno e così via. Gli accorpamenti rispondono a una logica di efficienza e coordinamento dei vari scali in un sistema nazionale.
    A valle della riorganizzazione c'è poi lo sviluppo. Le 24 autorità portuali hanno previsto di realizzare, nell'arco del triennio 2015-2017, ben 6,3 miliardi di investimenti, di cui oltre 1,5 nel 2015, 1,9 nel 2016 e 2,8 nel 2017. I quattro principali porti nazionali, sempre secondo la sintesi riportata nel piano nazionale, hanno messo in cantiere ingenti investimenti nel triennio, a partire da Civitavecchia (1,5 miliardi), seguita da Napoli (636 milioni), Augusta (348 milioni) e La Spezia (346 milioni).

    A parte l'effettiva realizzazione delle opere, la vera questione - che il piano nazionale pone - è: qual è logica di questi investimenti? Hanno certamente un senso in una prospettiva “particolaristica”, ma molto meno in una prospettiva di sistema. «Tra l'altro - azzarda lo studio - di questi fattori e fenomeni si dovrebbe tener compiutamente conto nei progetti di sviluppo infrastrutturale italiano nel promuovere una concentrazione degli investimenti in pochi porti».

    Non solo. Lo studio effettua un “carotaggio” nei piani di sviluppo delle autorità portuali censendo una trentina di gare di lavori, principalmente finalizzate a potenziare lo scalo o ampliare i fondali. Ebbene, «è comunque significativo osservare - si sottolinea nel piano del governo - che, tra le tante opere previste o ipotizzate, pochissime sono quelle effettivamente in corso e/o in fase di ultimazione. Gran parte delle altre iniziative relative alle grandi opere infrastrutturali portuali non hanno ancora visto l'avvio dei lavori. Tale situazione di stallo è determinata, tra le altre, anche da una programmazione senza stringenti vincoli finanziari, in cui le richieste di finanziamento risultano sistematicamente superiori alle disponibilità reali, quasi sempre in assenza di compartecipazione di capitali privati». La sfida del cambiamento è agli inizi.

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