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Dossier Una vita da banker, al femminile

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    Dossier | N. 6 articoliRapporto Private Banking

    Una vita da banker, al femminile

    Un piccolo esercito di professioniste. Il “censimento” più recente condotto dall'Aipb, l'associazione italiana di categoria, indica che i private banker italiani sono 5.649 e che la componente femminile rappresenta il 22% di questa popolazione di consulenti finanziari a cui le banche affidano portafogli di una certa consistenza e dimensione. Quindi, secondo calcoli approssimativi, le donne sono più di 1.300.

    Un mondo che ha ancora ampi spazi di crescita, ma in questo ambito non c'è bisogno di scomodare nessuna legge sulle quota rosa: la competenza, le qualità manageriali e forse, un pizzico di sensibilità in più e la maggior propensione all'ascolto, riescono a stimolare una significativa presenza femminile in ruoli di responsabilità nel wealth advisory.
    L'età media delle private banker italiane è di quasi 47 anni, oltre il 16% ha meno di 40 anni. Sono estremamente fedeli alla propria banca, intesa come “datore di lavoro”: il 23,8% ha una anzianità di ruolo tra i 10 e i 15 anni ma oltre il 10% ha addirittura un'anzianità aziendale ultra ventennale. Il 22% di loro ha ricoperto in precedenza questo ruolo in altre banche.

    Oltre il 77% sono dipendenti della banca iscritte all'Albo dei promotori finanziari (contro l'82,3% degli uomini). Sempre nel confronto su un punto importante non esiste differenza di genere: seguono entrambi, in media, 73 nuclei familiari. Il patrimonio medio gestito dalle donne è di 76 milioni di euro, 80 è quello degli uomini: uno scarto non particolarmente rilevante.

    Se si chiede loro di descrivere la propria professione e il proprio concetto di successo, il 90,9% delle private banker si definisce «un consulente capace di interpretare i bisogni del cliente». Oltre il 70% delle donne ha un'altissima considerazione del lavoro di consulenza svolto in team. E hanno le idee chiare su cosa puntare per la propria crescita professionale: le aree di miglioramento risiedono – secondo il monitoraggio Aipb – nella capacità di incrementare, nel tempo, il portafoglio clienti e gli asset under management, senza disdegnare l'implementazione delle proprie competenze tecnico-finanziarie.

    Ma come commentare l'esistenza del gender gap dal punto di visto numerico? «A un convegno ho sentito parlare di un pregiudizio atavico nei confronti delle donne – spiega Fulvia Beltrami, WM Azimut Global Advisory – ancora oggi la donna è il referente principale della famiglia e conciliare carriera ed esigenze famigliari non è semplice. Un altro fattore è la poca conoscenza del nostro ruolo: per questo, insieme ad altre professioniste e con il supporto dei media di settore, cerchiamo di rendere più visibili le figure femminili in questo lavoro, per far capire che si può fare questa professione con successo e gratificazione».

    «Non mi sono mai sentita discriminata, neanche a inizio della carriera e non so neanche con precisione se i miei clienti siano più donne o uomini - commenta Stefania Modena, private banker di Credem, un portafoglio da 150 milioni di euro -. Sono sempre stata in questo gruppo, c'è un forte senso di appartenenza. E non ho mai vissuto situazioni in cui il fatto di essere donna mi abbia agevolata o sia stato un problema. Tra i miei clienti c'è spesso una forte condivisione familiare: può capitare che sia il marito che viene a discutere con me della propria situazione patrimoniale e poi debba confrontarsi con la moglie prima di prendere le decisioni finali».

    C'è chi sottolinea che l'aumento delle professioniste della gestione di portafogli importanti – che necessitano di consulenza non solo finanziaria ma anche fiscale e legale - vada di pari passo all'aumento delle donne focalizzate sulla carriera, capaci dunque di accumulare e gestire la propria ricchezza e con uno spiccato senso dell'investimento finalizzato al risparmio, dell'amministrazione e della pianificazione finanziaria. Tema sul quale c'è ancora molto lavoro da fare, spiega ancora Stefania Modena.

    «Noi banker abbiamo un ruolo “formativo” molto importante - spiega -. Quando cominciamo a parlare di pianificazione che va al di là della parte finanziaria (quindi anche successoria, fiscale, immobiliare) spesso il cliente si mostra disorientato e non sa nemmeno che la banca, con il servizio di private, può dare tutto questo. Comincia però ad esserci maggiore consapevolezza, soprattutto per le fasce più alte: molti imprenditori usufruiscono di questi servizi. Ma non basta: in certe realtà non si va al di là dell'utilizzo del commercialista, mentre oggi è sempre più importante la specializzazione, perché le tematiche sono complesse e la tuttologia non può che fare male».

    Ma le aziende incentivano? Sul tema remunerazioni, la discrezione e la diplomazia la fanno da padrone. «C'è un piatto della bilancia molto personale – chiosa Stefania Modena – e non mi confronto mai con gli altri. Potrei fare questo mestiere come libera professionista, ma non lo sto facendo e probabilmente ho una gratificazione diversa dal punto di vista economico. Lavoro per un'azienda che ha un sistema premiante e riconosce i risultati. Ma, ribadisco, sulla bilancia ci sono tante altre cose: il mio benessere, la libertà di gestire il mio tempo».

    Per Fulvia Beltrami l'incentivo economico non è tutto e non esiste miglior motivatore di sé stessi. «Quando una famiglia che curo raggiunge un obiettivo di vita importante grazie al mio supporto provo una grandissima soddisfazione - racconta -. Le donne, e io fra queste, pretendono molto dalla società per cui operano, e non mi riferisco solo alla giusta gratificazione economica (da verificare peraltro alla luce delle previsioni della Mifid II). Strumentazione efficace, formazione continua per la crescita professionale e informazione mirata per essere sempre aggiornata, affiancamenti delle strutture specialistiche di sede nelle situazioni più complesse, supporti manageriali, rappresentano per me le principali fonti di incentivazione».

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