Economia

Appalti, sì della Camera alla riforma

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Industria

Appalti, sì della Camera alla riforma

  • –Mauro Salerno

ROMA

A un anno esatto dalla presentazione in Parlamento la riforma degli appalti compie un passo decisivo alla Camera. Al termine di 100 votazioni, in molti casi appoggiate anche dall'opposizione, con 343 si, 78 contrari e 25 astenuti Montecitorio ha approvato il testo che consegna al governo il compito di riformare gli appalti, sulla base di ben 75 criteri direttivi. Si tratta di un'approvazione praticamente definitiva. I tempi stretti per il recepimento delle nuove direttive europee (18 aprile 2016), non lasciano spazio per ulteriori modifiche in terza lettura al Senato.

«È una buonissima notizia per il sistema dei lavori pubblici italiani - ha commentato il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio -. È una riforma che vuol dire trasparenza, efficacia, buon utilizzo dei soldi pubblici e non più zone opache». Per il ministro Delrio il nuovo codice sarà operativo entro giugno. «Abbiamo introdotto diversi miglioramenti rispetto al testo del Senato - segnala il presidente della commissione Lavori pubblici Ermete Realacci -. Tra questi anche il rafforzamento del ruolo del Parlamento nell’esercizio della delega da parte del governo».

Il dialogo aperto tra maggioranza e opposizione ha garantito un’approvazione rapida, nonostante l’Aula abbia apportato più di 40 modifiche al testo uscito dalla commissione. Tra queste, l’emendamento che lascia al governo due strade per attuare la delega, attraverso la commissione di esperti nominata dal ministro Delrio (presieduta dal capo dipartimento di Palazzo Chigi Antonella Manzione ) al lavoro già da alcune settimane. Due le ipotesi. La prima è un’attuazione sdoppiata. Con un primo decreto mirato a recepire le direttive entro il 18 aprile 2016 e un secondo decreto (da varare entro 31 luglio) per riformare l’intero sistema sulla base dei principi contenuti nella delega. La seconda opzione, forse più logica e al momento quella più gettonata dal governo, è quella di approvare un unico decreto che assolva ad entrambi gli obiettivi, mandando subito in pensione il codice. Nessun passo indietro sull'addio al vecchio (ed elefantiaco) regolamento appalti sostituito da linee guida proposte dall'Anac e approvate con un decreto delle Infrastrutture. «Così il nuovo codice sarà il primo caso italiano di soft law», ha sottolineato Delrio.

Altra correzione rilevante riguarda il punto, molto discusso, dei lavori gestiti in house dalle concessionarie autostradali. Un emendamento votato in Aula raddoppia da 12 a 24 mesi i tempi entro i quali le concessionarie potranno adeguarsi al nuovo obbligo di affidare con gara l'80% (invece che il 60%) dei lavori.

Tra le modifiche dell'ultim'ora anche l'alleggerimento dei vincoli sull'appalto integrato di progetto e lavori (salta il paletto che ne limitava il ricorso agli appalti con contenuto tecnologico superiore al 70%) e nuove misure per il pagamento diretto delle Pmi coinvolte nei subappalti. Arriva poi un'ulteriore stretta sui ricorsi al Tar. In particolare il giudice dovrà tenere conto già nella fase cautelare dei casi in cui l'annullamento dell'aggiudicazione comporta l'inefficacia del contratto. Viene poi introdotto un rito speciale per la risoluzione immediata del contenzioso relativo alle esclusioni dalla gara per carenza dei requisiti, rendendo impossibile contestare dopo i provvedimenti della stazione appaltante relativi a questa fase di gara. L'ultima novità di giornata riguarda la qualificazione delle imprese, con la previsione di una disciplina specifica per la decadenza e la sospensione dei certificati Soa che abilitano al mercato dei lavori pubblici. Con la delega arriva poi la sospensione del performance bond sulle grandi opere e l'ok alla clausola sociale nei call center.

Il cuore della riforma resta comunque l'estensione e il rafforzamento dei poteri affidati all'Anac di Cantone. Un passaggio in cui non è difficile intravedere il riflesso delle tante inchieste sulla corruzione che hanno attraversato il mondo degli appalti negli ultimi mesi. L’Anac viene dotata di poteri di intervento cautelari (possibilità di bloccare in corsa gare irregolari). I suoi atti di indirizzo (e i bandi-tipo) diventano vincolanti. Saranno poi gestiti dall’Autorità il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, l’albo dei commissari di gara, le banche dai di settore, i controlli sulle varianti.

Confermata la scelta di puntare sulla qualità dei progetti, cancellando la possibilità di bandire le gare su elaborati preliminari e vietando la possibilità di assegnare gli incarichi al massimo ribasso. Con la preferenza per l’offerta più vantaggiosa (rapporto costo/qualità) il prezzo più basso diventa un criterio residuale anche per lavori pubblici. Rimane la stretta sulle varianti, causa dell’aumento dei costi di due grandi opere su tre e sulle deroghe possibili solo per emergenze di protezione civile. Inoltre le grandi opere dovranno essere capaci di guadagnarsi il consenso sul campo («débat public»). Molte anche le misure destinate - in linea teorica - a favorire l'accesso dei professionisti e delle Pmi al mondo degli appalti. E a garantire trasparenza anche ai contratti di importo inferiore alle soglie Ue (5,2 milioni per i lavori). Una zona grigia dove si annida una corruzione diffusa, più difficile da snidare rispetto a quella che fa da contorno alle grandi opere. Indicazioni di principio che spetterà poi al Governo tradurre in norme efficaci.

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