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Dove andrà l'Iran lo sapremo tra qualche mese, ma per…

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incognita corruzione

Dove andrà l'Iran lo sapremo tra qualche mese, ma per l’Italia il post-embargo è già un affare

A chiedere all'atelier di abiti da sposa Giuseppe Papini di aprire un punto vendita a Teheran, nel quartiere alto e borghese di Shemiran, è stata la stilista iraniana Azra Kamrava. Trentasette anni, Azra ha studiato all'Accademia delle Belle Arti di Brera e ha fatto da ponte da l'Iran e l'Italia. È stata lei a scegliere l'atelier di Bergamo - con un milione di euro di fatturato e tredici dipendenti - per la flessibilità offerta da un'azienda artigianale con un profilo internazionale, che già esporta negli Stati Uniti, in Giappone, Corea, Gran Bretagna, Germania, Francia e Spagna.

Un mercato interessante e di sicuro sviluppo, quello dei matrimoni nella Repubblica islamica dove l'età media è di 28 anni, la moda italiana seduce e, per tradizione, le famiglie non esitano a indebitarsi per la cerimonia di nozze. Dopo gli accordi di Vienna sul nucleare aumentano le aspettative del ceto medio, lasciando pensare a una crescita dei consumi anche perché gli iraniani hanno più denaro in tasca di quanto si legga nelle statistiche (che non tengono conto di un potere d'acquisto superiore al nominale).

Il business dei matrimoni coinvolge anche l'edilizia, l'arredamento, l'abbigliamento e gli articoli per l'infanzia. Il ceto medio-alto punta alla qualità e per i beni di consumo guarda all'Italia, anche se poi per certi prodotti bisogna fare i conti con i dazi volti a tutelare le industrie locali. Alle imprese italiane l'avvocato Padovan, esperto di commercio internazionale da anni attento ai controlli sulle esportazioni e alle sanzioni economiche internazionali, consiglia di esportare “inserendo una clausola per poter rinegoziare o sciogliere il contratto nel caso in cui le sanzioni restino, oppure nel caso in cui rispettare il contratto diventi troppo oneroso o impossibile”. Evitando di investire perché la regione è in fiamme e nel paese ci sono troppe lotte fra i vari centri di potere.

Tra i clienti dello Studio Padovan c'è anche la Dettin di Schio, in provincia di Vicenza, a cui il 19 novembre sono state revocate le sanzioni americane comminate per una fornitura all'Iran di apparecchiature destinate a impianti petrolchimici per più di 250mila dollari in un anno. Un'operazione effettuata in assoluta trasparenza e nel pieno rispetto della normativa europea e italiana in materia di misure restrittive al commercio con l'Iran, come hanno confermato a più riprese le autorità italiane competenti. Ma le sanzioni ci sono state, e pure l'inclusione nella lista Sdn, la blacklist americana.

Un fatturato medio di circa 10 milioni di euro e cinquanta dipendenti, la Dettin è attiva nella produzione di apparecchiature per il settore chimico e petrolchimico e macchine tessili. Un settore, il petrolifero, che per gli iraniani resta prioritario. Basti pensare che ambasciatore a Berlino è stato nominato Ali Majedi, già vice ministro per il Petrolio. Altri settori di primo piano, e di grande interesse per le imprese italiane che partecipano alla missione economica del 29-30 novembre - promossa dal Ministero Affari esteri e Cooperazione internazionale e dal Ministero dello Sviluppo economico, e organizzata da Ice con Confindustria, Abi e dalla sezione sviluppo commerciale dell'Ambasciata italiana a Teheran - sono l'ambiente e le energie rinnovabili, la meccanica, le apparecchiature medicali, i materiali edili e l'automotive.

Dopo decenni di embargo, nella Repubblica islamica i macchinari hanno bisogno di essere rinnovati: l'inasprimento delle sanzioni portava a guardare a Oriente, ma i prodotti cinesi e indiani sono di qualità inferiore rispetto a quelli europei, gli iraniani ne sono ben consapevoli. Dopo petrolio e derivati viene il gas e quindi il mercato iraniano è di particolare interesse per le industrie ad alta intensità di calore: cemento, acciaio, power generation e petrolchimico.

Seguono il farmaceutico e la medicina nucleare (su cui l'accordo di Vienna prevede espressamente una collaborazione rafforzata tra i paesi occidentali e l'Iran) e le energie rinnovabili, in cui l'Italia ha una buona tradizione. E ovviamente la meccanica di precisione e l'automotive: con 1,6 milioni di auto l'anno, l'Iran è il maggiore produttore dell'area, servono i nostri ricambi. L'Italia non sarà in grado di fornire i 400 aerei necessari per la compagnia di bandiera, ma ha comunque tecnologia e strutture per produrre componentistica. Ed è competitiva nei macchinari per la sicurezza alimentare, in una delle filiere più interessanti.

Detto questo, nella Repubblica islamica le imprese italiane si troveranno ad affrontare una serie di problemi. La corruzione è un'emergenza nazionale e le autorità la stanno contrastando con una sorta di mani pulite: meglio non dare soldi sottobanco, tanto più che esistono forme di sponsorizzazione legali. Il secondo problema è la disoccupazione a due cifre, in buona parte dovuta all'isolamento imposto dalle sanzioni: per contrastarla l'economia dovrebbe crescere all'8 percento annuo ma questo obiettivo non sarà facile da raggiungere, quindi bisogna essere consapevoli delle tensioni sociali. Il terzo problema è l'inflazione, in calo ma ancora a due cifre. Quarto: il prezzo del barile è diminuito e quindi il governo ha meno risorse, ma questo potrebbe rivelarsi un punto a favore delle imprese straniere: con minori introiti il governo dovrebbe favorire settori alternativi a quello petrolifero. Quinto: il 70 percento dell'economia è statale e privatizzare non è servito: a comprare sono stati soprattutto i membri delle fondazioni religiose (bonyad) e delle guardie rivoluzionarie (pasdaran).

Bisognerà anche affrontare la complessità della nuova situazione: per destreggiarsi è opportuno trovare consulenti locali affidabili e competenti. La qualità dei professionisti è alta in ambito scientifico ma trovare un buon avvocato non è facile perché, conclude Padovan, “a causa delle sanzioni non si sono sviluppati studi internazionali, l'assistenza offerta è più accademica che rivolta al business, raramente i colleghi iraniani hanno una buona conoscenza delle lingue europee e la loro professionalità è spesso legata alla magistratura (con formazione religiosa)”. Il rischio è di rivolgersi alla persona sbagliata.

Dove andrà l'Iran lo sapremo tra qualche mese: i falchi (non solo a Teheran) stanno facendo di tutto per mandare a monte l'accordo di Vienna, e nella stessa direzione si muovono alcune monarchie sunnite del Golfo che non gradiscono il riavvicinamento tra Teheran e Washington. Il presidente Rohani e il ministro degli Esteri Zarif puntano all'implementation a inizio gennaio e comunque entro il 26 febbraio, giorno in cui gli iraniani andranno alle urne: la fine delle sanzioni e il riavvicinamento con l'Occidente permetterebbe loro di vincere la maggioranza in parlamento. E quindi di avere maggior margine nei futuri scontri di potere.
farian.sabahi@gmail.com
@FarianSabahi

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