Economia

«Le priorità? Impresa e capitale umano»

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Lavoro

«Le priorità? Impresa e capitale umano»

«Fattibile? Assolutamente sì, in effetti parliamo di azioni e comportamenti che già in parte adottiamo. Si tratta solo di renderli sistematici, di diventare un poco tedeschi nella coerenza e nella determinazione, per affrontare un mondo in rapido movimento». Non un trattato, non un esercizio accademico da infilare in qualche cassetto. Quello che Alberto Ribolla, presidente di Confindustria Lombardia, propone al territorio è un patto per lo sviluppo, linee strategiche che sistematicamente e periodicamente verranno declinate in piani d’azione specifici.

Ai primi posti mettete le azioni volte a sviluppare una cultura d’impresa. Ma la crisi non ha proprio cambiato nulla? Non ha reso più evidente il legame tra azienda e occupazione, dunque ricchezza?

In parte la percezione è cambiata, ma non è ancora adeguata rispetto ai nostri obiettivi. Vorremmo spiegare alle famiglie che formare un ottimo perito forse è meglio che avere un laureato in storia disoccupato. Vorremmo spiegare ai giovani che non necessariamente per trovare un buon lavoro devono trasferirsi a Londra.

Per convincerli, però, servirebbero percorsi di carriera e stipendi adeguati. Non crede che anche le aziende italiane da questo punto di vista abbiano qualche gap da colmare?

Anche le imprese devono cambiare, su questo non c’è alcun dubbio. Alcuni paradigmi assoluti, ad esempio il classico “piccolo è bello”, vanno archiviati, ma dobbiamo farlo davvero. Anche rispetto alla finanza l’approccio si dovrà modificare, che ci piaccia o no. Se pensiamo di affrontare il futuro con gli strumenti del passato abbiamo perso in partenza.

Da dove si comincia, quali dovranno essere le priorità?

Le dieci azioni operative che abbiamo proposto sono alcuni esempi, direi strettamente correlati. Perché parliamo di innovazione, internazionalizzazione, attività che a loro volta richiedono un capitale umano adeguato. Il Centro Studi di Confindustria ha ad esempio stimato che portando dal 30 al 38% la forza lavoro impiegata nei settori ad alto contenuto di scienza e tecnologia avremmo una crescita del Pil di quasi dieci punti entro il 2030. Forse non inventeremo mai l’iPad ma nell’innovazione incrementale e combinatoria siamo vincenti: il medium-tech, le macchine utensili ad esempio, portano indotto, ricchezza diffusa, coesione sociale.

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