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Addio Krizia, testimonial del made in Italy

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Industria

Addio Krizia, testimonial del made in Italy

Bergamasca di origine, Mariuccia Mandelli amava profondamente Milano, sua città d’adozione. Anche se domenica notte non l’avesse colta un malore improvviso ma fatale, forse ieri sera alla prima della Scala non ci sarebbe stata comunque: da tempo aveva problemi di salute e usciva sempre meno spesso. Ma per tanti anni aveva partecipato, a Sant’Ambrogio, alla serata inaugurale del teatro e molte signore milanesi l’avevano fatto indossando suoi abiti o accessori.

Non aveva frequentato scuole di moda, anzi. Aveva studiato per diventare maestra ma la passione per gli abiti come espressione della personalità di una donna veniva da lontano: raccontò lei stessa che da bambina si divertiva a creare i vestiti per le sue bambole. Il nome d’arte, Krizia, Mariuccia (all’anagrafe Maria) l’aveva scelto leggendo un dialogo, incompiuto, di Platone, che terminava con il racconto del mito di Atlantide. In quasi 91 anni di vita (li avrebbe compiuti a gennaio) è lei a essere diventata un mito: si decise a vendere il marchio solo nel 2014 e lo fece perché non aveva costruito una successione stilistica e perché l’azienda aveva perso negli anni anche parte della sua forza economica. Ma era contenta della scelta fatta e della promessa mantenuta («lavorerò fino a 90 anni»): ad acquistare fu l’imprenditrice cinese Zhu Chongyun, che da allora non ha perso occasione per tessere le lodi di Krizia come stilista e come donna e che sta lavorando a un credibile piano di rilancio internternazionale del brand (si veda l’articolo in pagina).

Nessuno avrebbe osato dirglielo, vista la sua avversione per ogni tipo di etichetta e conformismo, ma Krizia fu prima di tutto una femminista, nel senso migliore del termine, unica donna di quella prima, grande generazione di stilisti che crearono, di fatto, il prêt-à-porter italiano. Dava l’impressione, con le sue collezioni, il suo look (basti pensare alla scelta dei gioielli, molti dei quali disegnava da sé) e con il suo coraggio imprenditoriale, di non avere alcun senso di inferiorità rispetto agli uomini. E quanto al suo famoso caschetto (quasi) sempre perfetto e così riconoscibile, immortalato anche nel ritratto che le fece Andy Warhol, si potrebbe quasi pensare che forse fu d’ispirazione persino per Anna Wintour, attuale zarina della moda mondiale.

Krizia fondò la sua attività di stilista nel 1954, quando in Italia non esisteva neppure la legge sul divorzio (introdotta nel 1970) e le donne avevano ottenuto il diritto di voto da poco più di dieci anni. Presentò la sua prima collezione nel 1957 a una fiera di Torino (il Samia, un salone della moda che restò attivo fino alla metà degli anni 60) e nei decenni successivi segnò la storia del pret-à-porter made in Italy e di Milano come sua capitale.

Stilisticamente, Krizia ha precorso i tempi per molti motivi: rivoluzionò l’uso della maglia, preferendo, negli “austeri” primi anni 60, golf tricottati ai twin set che facevano tanto bon ton e simboli forti, come la famosa pantera. Fu ancora lei, nel 1993, di ritorno da un viaggio in Cina, a spiegare ai suoi colleghi italiani che sarebbe stata quella la nuova frontiera per i marchi del made in Italy. «Ci saranno presto 260 milioni di ricchi», disse, e nel 1994 il marchio iniziò a essere distribuito in Cina. Intuì il potenziale delle licenze e arrivarono in rapida successione profumi, borse, occhiali, cravatte, orologi, piastrelle e un’intera linea per la casa, forse una delle sue passioni più grandi, specie negli ultimi anni. Tra produzione diretta, retail e licenze, negli anni 90 il marchio Krizia arrivò a generare un fatturato di circa 500 milioni di euro, più o meno la dimensione attuale del gruppo Marisfrolg guidato da Zhu Chongyun.

Curiosa ed eclettica, mai autoreferenziale, Krizia cercò sempre fuori dall’ambiente della moda stimoli e motivi di crescita personale e amicizie. In via Manin 19, dove ancora oggi c’è il quartier generale della maison, in un bellissimo edificio d’epoca di proprietà della famiglia, per anni si organizzarono presentazioni di libri ed eventi culturali, alcuni dei quali legati al Salone del mobile.

La sede, inaugurata nel 1984, risponde a sua volta a una scelta controcorrente: appena fuori dal quadrilatero della moda, lasciava alla stilista quell’indipendenza, formale e sostanziale, che aveva sempre cercato. L’amore per i libri la spinse a diventare socia, nel 1985, della casa editrice La Tartaruga e fino all’ultimo insistette sull’importanza, per Milano e per tutte le persone che l’amano, specie quando hanno mezzi economici adatti, a investire in iniziative culturali. Nella sua vita frequentò musicisti e protagonisti del cinema, a partire dal cognato Francesco Rosi, che le presentò Luchino Visconti al quale, raccontò beffarda la stilista in un’intervista dello scorso anno, si offrì di fare da governante.

Una scelta obbligata, quella della vendita: Krizia non allevò un vero e proprio successore, anche se dal suo ufficio stile sono passati talenti poi gloriosamente sbocciati in altre aziende (Alber Elbaz per fare il nome più famoso) o diventati a loro volta stilisti indipendenti, come Giambattista Valli. Pur non disdegnando la parte economica del lavoro, Krizia non seppe dare una vera e propria struttura manageriale al gruppo: i figli del marito Aldo Pinto (da sempre presidente dell’azienda e oggi della Mmk, la società che gestisce il patrimonio immobiliare della famiglia), Silvio e Andrea, lavorarono per il marchio per brevi periodi, ma poi presero strade diverse.

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