Economia

Una cura da 300 milioni per l’Ilva

  • Abbonati
  • Accedi
Servizi

Una cura da 300 milioni per l’Ilva

TARANTO

Esattamente tre anni fa all’Ilva di Taranto l’altoforno 1 effettuava l’ultima colata di ghisa per essere poi spento ed avviato a rifacimento. Rispetto alla nuova Autorizzazione integrata ambientale varata dal ministero appena due mesi prima, il check completo sull’altoforno 1 era il primo, importante lavoro messo in cantiere. Passeranno due anni e mezzo prima che, lo scorso 6 agosto, l’altoforno 1 riparta e non perchè il rifacimento fosse particolarmente complesso.

Il problema vero è che in tutto questo tempo all’Ilva - che nel frattempo ha visto alternarsi tre, diverse gestioni commissariali - sono mancate nei tempi giusti le risorse necessarie a fronteggiare la mole di lavori impiantistici e ambientali prevista per lo stabilimento di Taranto. L’accelerazione sulle azioni da fare si è avuta solo quando, con provvedimenti ad hoc, si sono sbloccati nuovi fondi. È il caso, per esempio, dei 156 milioni svincolati da Fintecna nella scorsa primavera a seguito della legge 20 di marzo, oppure dei 400 milioni di prestito, con la garanzia dello Stato, concessi all’Ilva dalla stessa legge ma sinora utilizzati per 200 milioni. E proprio la liquidità asfittica ha portato adesso l’azienda a chiedere al Governo un’ulteriore immissione di denaro. Sono i 300 milioni di prestito a carico del Mise previsti dal decreto legge varato venerdì scorso.

Soldi che i privati dovranno restituire quando subentreranno a giugno all’amministrazione straordinaria dell’azienda, dovranno restituire.

Risorse che serviranno alla gestione corrente dei prossimi mesi, spiegano fonti Ilva. E quindi è presumibile che vadano anche agli altri lavori che attendono di essere avviati. Fra questi, appunto, il rifacimento dell’altoforno 5, il «motore» dello stabililmento con le sue 10mila tonnellate giornaliere di ghisa. Un’operazione per la quale servirebbero oltre 200 milioni. Anche perchè il fatto di avere tre altiforni in marcia su quattro (tolti il quinto, che è spento, e il terzo definitivamente dismesso dall’Aia, restano infatti l’1, il 2 e il 4) si ripercuote sulla capacità produttiva del siderurgico e sul conto economico. A ciò si aggiunga che, all’inizio di ottobre, per effetto di un peggiorato quadro di mercato, l’azienda ha dovuto anche frenare la marcia delle due acciaierie e questo, a monte, ha comportato una minore produzione di ghisa: da 16,500-17mila tonnellate al giorno si è scesi a 14,500. Ora, secondo le ultime stime, il 2015 si dovrebbe chiudere con 4,8 milioni di tonnellate di acciaio, 600mila in meno rispetto ai 5,4 che i commissari prevedevano appena a luglio scorso.

Ma l’inoperatività dell’altoforno 5 non solo danneggia la competitività dell’Ilva, ma è anche un’occasione di lavoro mancata per l’indotto, già preoccupato per la piega della vicenda societaria.

Indotto che, a parte i pagamenti relativi ai lavori correnti, è in attesa di sapere se e quando potrà rientrare dei 250 milioni di crediti maturati verso l’Ilva (150 solo a Taranto) per attività fatte prima dell’amministrazione straordinaria e adesso rifluite nello stato passivo dell’azienda. Più di un’incertezza, dunque, mentre a Taranto risalgono le proteste per la sicurezza sul lavoro. Ieri nuovo incidente nell’Ilva: da un’altezza di 5-6 metri è precipitato un tecnico, Giuseppe Vernile, mentre effettuava un’ispezione ad un nastro trasportatore della loppa nell’area degli impianti marittimi. Il lavoratore è in prognosi riservata ma non corre pericolo di vita. Le passerelle sono state messe sotto sequestro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA