Economia

Dossier Primi segnali positivi dal mercato interno

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    Dossier | N. 6 articoliBarometro della manifattura

    Primi segnali positivi dal mercato interno

    L’assenza di una politica industriale che ridia competitività al Paese non aiuta, ma nonostante questo e nonostante i vincoli del sistema paese - dall’energia alle norme e alla burocrazia - la chimica ancora una volta si lascia alle spalle un anno con il segno positivo.

    È ancora un sentimento di incertezza, però, quello che prevale tra le aziende. Dopo 10 anni di stagnazione crescere dello zero virgola, dicono in molti, significa pur sempre crescere, ma non certo brillare. Stando agli ultimi dati diffusi da Federchimica nel 2015 la produzione in Italia recupera terreno, molto gradualmente e, si può dire con certezza, anche grazie alla domanda interna. Auto, plastica, cosmetica e alimentare sono i settori clienti dove il recupero appare consolidato, mentre tessile-cuoio e costruzioni rimangono indietro. L’incertezza però porta anche i settori clienti che vanno meglio a non modificare troppo le modalità di acquisto: non possiamo certo dire di essere in quella fase in cui gli utilizzatori accumulano scorte. Semmai, spiega Federchimica, gli acquisti rimangono ancora frammentati.

    Venendo ai numeri che fotografano il settore la produzione chimica in Italia chiuderà il 2015 in crescita dello 0,8% grazie all’export in forte espansione (+4,5% in volume) e al primo rialzo della domanda interna (+1,2%), accompagnati da un consistente aumento dell’import (+4,3%). Per il 2016 ci si attende una crescita dell’1,4%. Nonostante la generale debolezza del commercio mondiale, l’export chimico italiano mostra una crescita marcata (+3,9% in valore nonostante prezzi lievemente cedenti). Le vendite estere restano molto diversificate a livello geografico, risultando in espansione nel 61% dei paesi, in calo nel restante 39%. Nei mesi più recenti emerge un rallentamento, comunque non drammatico. Ciò che sta cambiando con una certa evidenza a partire da quest’anno è il ruolo della domanda interna, che nel 2016 crescerà dell’1,5%, accompagnando con sempre maggiore forza la crescita dell’export che sarà invece del 3%. Questo miglioramento, atteso dalle imprese per il 2016 consentirà di mitigare il forte dualismo che ha caratterizzato gli anni recenti tra le imprese chimiche orientate all’export e quelle dipendenti dal mercato interno.

    Quanto alla domanda mondiale di chimica, nel 2016 manterrà un ritmo di espansione piuttosto stabile e pari al 2,5%. La Cina si conferma in rallentamento ma, al momento, non drammatico e le situazioni di possibile sovraccapacità riguardano solo alcuni settori specifici. Negli Stati Uniti la crescita della produzione proseguirà a tassi robusti (+3,1%) beneficiando di una solida ripresa economica. Per la chimica europea si prevede un miglioramento solo graduale (compreso tra l’1,0 e l’1,5%) dopo un 2015 in modesta espansione (+0,5%). La ripresa dell’industria manifatturiera rimarrà condizionata dall’incertezza, il cambio euro/dollaro sosterrà le esportazioni e mitigherà la pressione dell’import insieme ai bassi corsi del petrolio che ridimensionano il vantaggio di costo delle produzioni alimentate a gas, nord-americane e medio-orientali.

    Come spiegano da Federchimica, durante la crisi, molte aziende hanno attuato un profondo cambiamento, magari poco appariscente e poco comunicato, ma di sostanza. E la sostanza sta nel miglioramento qualitativo e nella creazione di una rete estera forte che oggi consentono di dire che il nostro paese è uno dei più forti, almeno per due fattori. Il primo è il valore aggiunto sulla produzione, il seconto è la performance sull’export. Premesso che in Italia rimangono pesanti condizionamenti dovuti a deficit di sistema come i costi energetici, le infrastrutture e gli oneri burocratici, tuttavia il settore affronta la ripresa in condizioni migliori di tanti altri comparti. Innanzitutto perché ha dalla sua un’incidenza delle sofferenze sui prestiti bancari (6,2%)che si conferma la più bassa del panorama industriale.

    Inoltre, come si diceva, si tratta di un settore che ha avuto un crescente impegno nella ricerca, al punto che il valore aggiunto sulla produzione è arrivato al 6,1% nel periodo 2007-2013. Il confronto internazionale sull’export evidenzia poi che solo la Spagna ha fatto meglio dell’Italia. Come mai? Da Federchimica parlano di alta qualità e innovazione, ma anche di capacità di essere reattivi in tempi molto rapidi rispetto alle sollecitazioni dei mercati. Del resto in Italia hanno importanti stabilimenti produttivi e di ricerca grandi multinazioanli della chimica. Si pensi alla Solvay o alla LyondellBasell che hanno ereditato centri di ricerca storici. Un aspetto che in qualche modo ci ricollega ai giorni nostri. Per Federchimica non si disperde capitale vendendo un’impresa italiana a un’impresa estera. Quasi sempre, al contrario, quando questo si verifica, c’è un rafforzamento perché l’impresa entra in un network globale. Non è la nazionalità del capitale che conta, ma la nazionalità dell’attività produttiva e della ricerca. Per chiarire meglio: si può dire che in Italia c’è una domanda raffinatissima, molto sofisticata, di beni intermedi. E c’è la consapevolezza che la competitività non la si fa con l’innovazione di processo – del resto le macchine le hanno anche in Cina, magari perché comprate in Italia – ma con l’innovazione di prodotto.

    In questo scenario non ci sarà un impatto decisivo dell’andamento del prezzo del petrolio sui prezzi della chimica. Le recenti quotazioni del petrolio – inferiori ai 40 dollari al barile – sono da considerarsi temporanee in quanto generano rischi di instabilità per l’economia mondiale così gravi da spingere, se necessario, tutti gli attori in gioco a trovare un accordo per la restrizione dell’offerta. Le previsioni per il 2016 collocano il petrolio intorno ai 45 dollari presupponendo il ritorno nella seconda parte dell’anno su livelli analoghi alla media del 2015. Di conseguenza non si prospettano ulteriori forti spinte al calo dei costi.