Economia

La crescita delle «private label»

  • Abbonati
  • Accedi
Servizi

La crescita delle «private label»

  • –Natascia Ronchetti

bologna

Una rivoluzione silenziosa ma inarrestabile. Nella grande distribuzione organizzata i prodotti a marca del distributore conquistano sempre più spazio sugli scaffali, riempiono il carrello della spesa e insidiano il potere dei grandi brand. Il volume d’affari del private label ha raggiunto i 9,5 miliardi in rapporto ai 52 miliardi circa del largo consumo confezionato (il totale, compreso il “fresco” raggiunge i 114,1 miliardi), pari al 18,3% del segmento. Numeri che avvicinano sempre di più l’Italia al resto dell’Europa, dove la marca privata presidia in media quasi il 28% del mercato. I dati provengono da Federdistribuzione e da Adem Lab, osservatorio dell’Università di Parma. È infatti firmata dall’ateneo emiliano la ricerca che viene presentata oggi, nei padiglioni di BolognaFiere, in occasione dell’inaugurazione di Marca, la manifestazione dedicata ai prodotti a marca del distributore promossa dal gruppo fieristico bolognese insieme ad Adm, associazione della distribuzione moderna. L’incremento degli espositori (quest’anno sono 21 le insegne presenti) e delle aziende produttrici (528, con un aumento di quasi il 10%) confermano il cambiamento in atto in un sistema costituito da oltre 27mila punti vendita tra supermercati, ipermercati e discount e controllato in larga parte da catene a capitale italiano. «La marca del distributore si sta riposizionando al livello dei grandi brand industriali», dice Massimo Viviani, consigliere delegato di Adm. «Si sta manifestando un disinvestimento sul prodotto di primo prezzo – prosegue Viviani – a favore di uno spostamento verso una fascia di mercato più alta. La convenienza resta un elemento fondamentale ma il consumatore ora chiede anche altre cose, a partire da trasparenza e tracciabilità. Riconosce non solo il fattore convenienza ma anche il valore del prodotto specifico in sé e di quello di una garanzia di maggiori informazioni». Non è un caso che l’anno scorso siano state proprio le vendite dei prodotti di fascia più alta – il segmento cosiddetto Premium – e di quelli biologici a fare il grande salto. Nel primo caso con un incremento in valore superiore al 13%, nel secondo con un balzo dell’11%. Una trasformazione con un effetto diretto sulle imprese che forniscono le grandi insegne e che sono costituite nella stragrande maggioranza (parliamo di circa il 77%) da piccole e medie aziende. L’80% dei contratti stipulati dai colossi della distribuzione con i produttori hanno una durata superiore ai quattro anni, con i fornitori di oltre otto. «Ed è vero che le insegne chiedono efficienza – spiega Viviani – ma la durata dei contratti consente alle imprese di pianificare investimenti, con ricadute economiche e sociali sui territori in cui operano e con la valorizzazione di produzioni locali e a chilometro zero». Certo, la quota di mercato conquistata dal private label in Italia appare ancora lontana dal 45% del Regno Unito o dal 30% circa di Paesi come Francia e Germania. Ma molti big della distribuzione in Italia sono in piena corsa, con quote dei prodotti a marca del distributore, sul totale, che superano il 25 per cento.

A Marca partecipano colossi nazionali e stranieri come Coop, Metro, Auchan, Carrefour, Sigma, Conad.

© RIPRODUZIONE RISERVATA