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Orban non spaventa l’economia

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Industria

Orban non spaventa l’economia

  • –Luca Veronese

L’Ungheria di Viktor Orban continua a muoversi in modo non convenzionale all’interno dell’Unione europea. Sui migranti Budapest attacca Bruxelles ogni giorno e, dopo aver eretto un muro di filo spinato alla frontiera con la Serbia, si batte per il blocco totale dei flussi, rifiutando la ripartizione per quote tra i Paesi membri. Sulla Russia il governo magiaro chiede l’abolizione delle sanzioni e si è mosso per tempo siglando con Vladimir Putin pesanti accordi nel settore energetico. Pur avendo perso in Parlamento la maggioranza dei due terzi dei seggi che gli ha permesso di cambiare la Costituzione - accentrando nel governo più potere anche nei confronti dei media e della Banca centrale - Orban mantiene in patria un larghissimo consenso. Di certo rafforzato dalla capacità di cogliere gli umori diffusi tra i suoi concittadini, a partire proprio dalla questione dei migranti, oltre che dal sentimento di rivalsa nei confronti dell’Europa occidentale.

«Siamo stati molto criticati in Europa perché abbiamo dovuto fare riforme radicali per cambiare il Paese. Ma i risultati che abbiamo raggiunto ci danno ragione: nel 2010 stavamo peggio della Grecia oggi la crescita è solida con il Pil in aumento del 3%, la disoccupazione dimezzata al 6,5%, il deficit sotto controllo», dice Peter Szijjarto, ministro ungherese degli Esteri e del Commercio estero. «E siamo sempre più aperti verso i mercati internazionali: le nostre esportazioni - aggiunge Szijjarto - valgono il 91% del Pil, abbiamo raggiunto uno stock di investimenti dall’estero superiore a 80 miliardi di dollari».

L’Ungheria è nei fatti uno dei Paesi dell’Est europeo che attraggono più investimenti diretti dall’estero. Le imprese straniere, soprattutto quelle tedesche, austriache, olandesi, americane e anche italiane - scelgono di delocalizzare in Ungheria guardando al costo del lavoro, alla qualità della manodopera, alla localizzazione geografica e alle prospettive di sviluppo nei mercati dell’area. Nel 2014 gli investimenti diretti nell’economia ungherese hanno raggiunto i 4,1 miliardi di dollari, un totale lontano dai record del 2011 e del 2012 ma in aumento di oltre il 30% rispetto al 2013.

«All’Ungheria non servono i migranti, non dobbiamo solo limitare i flussi in arrivo, dobbiamo chiudere del tutto le frontiere. La questione centrale del 2016 è porre fine ai flussi di migranti. Dobbiamo costruire una linea di difesa europea ai confini con la Grecia, con la Macedonia e la Bulgaria», ha detto Orban nei giorni scorsi. Ma le dichiarazioni sopra le righe, le posizioni in netto contrasto con i principi stessi alla base dell’Unione - come quello dell’accoglienza per i rifugiati che chiedono asilo fuggendo dalla guerra in Siria - e le decisioni irrituali del governo di Budapest - con le tasse per i grandi gruppi della distribuzione, della tecnologia e dei servizi oltre a quelle per le banche internazionali che operano nel Paese - non sembrano aver danneggiato l’economia magiara che cresce e rispetta tutti i parametri di bilancio concordati con i partner europei.

Anche le caute stime della Commissione europea indicano che la crescita del Pil ha raggiunto il 2,9% l’anno passato con debito e deficit di bilancio contenuti rispettivamente nel 75% e nel 2,3% del Pil. I rischi - sottolineano gli analisti della Commissione - vengono dal rallentamento della Cina e dalle prevedibili difficoltà della Volkswagen, uno dei grandi produttori presenti nel Paese, dopo lo scandalo delle emissioni. E anche le sanzioni alla Russia possono pesare su un Paese di soli 10 milioni di abitanti che producono un Pil di circa 90 miliardi di euro.

Nelle turbolenze che hanno coinvolto i Paesi emergenti negli ultimi mesi, inoltre il fiorino ha tenuto bene, meglio dello zloty polacco, ai margini dell’euro. Mentre la Banca centrale è impegnata a ridurre la vulnerabilità di un’economia che ha un debito verso l’estero pari al 116% del Pil.

Nella sua parabola dal liberismo al nazionalismo, ai limiti dei trattati europei, Orban ha trovato numerosi alleati e qualche seguace. Con la Russia di Putin ha firmato un contratto da 10 miliardi di dollari per la costruzioni di due nuovi reattori nella centrale nucleare di Paks. Ed è di pochi giorni fa l’incontro a Budapest durante il quale Orban ha garantito al premier britannico David Cameron il suo appoggio nel negoziato a Ventotto per evitare la Brexit. Ma il legame più forte dopo la svolta a destra si sta formando con la Polonia: un’altra economia, la maggiore nell’Europa orientale, che potrebbe proseguire la sua corsa verso lo sviluppo nonostante Jaroslaw Kaczynski abbia scelto il modello non convenzionale dell’Ungheria di Orban.

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