Economia

Doppia tegola sul piano Ilva

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Regole e incentivi

Doppia tegola sul piano Ilva

  • –Matteo Meneghello

La Commissione Ue apre un’indagine approfondita per sospetti aiuti di Stato nei confronti dell’Ilva. La decisione è stata approvata ieri dal Collegio dei commissari riunito a Strasburgo e sarà ufficializzata oggi. Oggetto dell’indagine è una parte dei fondi stanziati in questi anni dal Governo (nel mirino una somma di circa 2 miliardi) per la ristrutturazione e il rilancio del gruppo siderurgico. Tecnicamente non si tratta ancora dell’apertura di una procedura d’infrazione, e per questo motivo non è stata formulata, in questa fase, alcuna richiesta immediata di recupero del denaro stanziato. Il percorso di ristrutturazione e rilancio studiato del Governo si conferma però accidentato. A complicare la situazione, ieri in tarda serata il neodirettore generale dell’Ilva, Marco Pucci (nominato lunedì in sostituzione di Massimo Rosini) ha rimesso l’incarico nelle mani dei commissari: «Non ritengo di accettare l’offerta – ha spiegato – e preferisco attendere l'esito del ricorso in Cassazione sul processo che mi ha visto condannato ingiustamente per il tragico incidente alla Thyssen di Torino». All’epoca Pucci era nel Cda della società «senza alcuna delega alla sicurezza – precisa il manager – e con responsabilità nelle aree commerciali. Sono tornato in Ilva un anno fa e continuerò a collaborare come manager per il risanamento della società».

Ora però l’operazione di ristrutturazione e rilancio del gruppo è al vaglio della Commissione europea. Secondo fonti vicine alla Commissione i commissari sono consapevoli del fatto che non sia immediatamente distinguibile in questo momento quanta parte del denaro stanziato dal Governo sia stato concesso per il risanamento ambientale e quanto invece per la parte industriale. Come hanno spiegato nei giorni scorsi fonti vicine al commissario europeo per la concorrenza, Margrethe Vestager, gli aiuti all’Ilva di Taranto possono essere accettati dall’Unione europea solo nella misura in cui siano finalizzati a mettere in regola l’azienda riguardo alle norme sulla protezione ambientale, e non se invece utilizzati per un aggiornamento tecnologico degli impianti.

Lo stesso commissario, in una lettera al sottosegretario agli Affari europei, Sandro Gozi (si veda Il Sole 24 Ore del 27 dicembre) ha ribadito la propria «consapevolezza dell’urgente bisogno di disinquinamento sia all’interno dell’Ilva che nell’area adiacente di Taranto», dicendosi «a favore del supporto pubblico per il disinquinamento del sito e dell’area circostante». Una posizione confermata anche dagli uffici di Federacciai, che in queste settimane hanno raccolto un dossier in grado di evidenziare questo tipo di prassi giurisprudenziale in recenti decisioni a livello comunitario.

L’Italia, in sintesi, può sostenere l’opera di risanamento ambientale nel sito di Taranto con fondi pubblici, purchè e nella misura in cui queste risorse siano poi restituite da chi sarà riconosciuto responsabile dell’inquinamento. L’indagine avviata dalla Commissione servirà proprio a dirimere la questione e coinvolgerà a questo punto tutti gli attori in campo.

La generica cifra di due miliardi indicata dalla Commissione comprende denaro stanziato in varie forme (prestiti, bond, garanzie). In particolare, secondo quanto ipotizzato nelle ultime settimane, nel mirino di Bruxelles sono finiti il prestito da 300 milioni dell’ultimo decreto legge e quello da 400 milioni della legge 20 dello scorso marzo. Faro puntato anche sulla garanzia dello Stato sugli 800 milioni previsti nella legge di stabilità 2016 (nel testo il Governo ha precisato come questi siano vincolati «alla realizzazione delle attività di tutela ambientale e sanitaria».

L’indagine viene avviata in un contesto particolarmente difficile e ipercompetitivo per la siderurgia europea (l’Unione europea è intervenuta su Ilva dopo un esposto di Eurofer, l’associazione dei siderurgici europei, e di Wirtschaftsvereinigung Stahl, l’organizzazione che raggruppa gli imprenditori tedeschi dell’acciaio) schiacciata tra i problemi di sovraproduzione a livello mondiale e la politica di importazione aggressiva dei paesi emergenti. Nonostante la vicenda Ilva, come noto, nasca da dinamiche estranee al difficile contesto congiunturale, la Commissione teme che questa situazione produca comportamenti distorsivi all’interno dei singoli stati membri, preoccupati di «salvare» le proprie siderurgie nazionali.

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