Economia

Export, cresce il rischio nei Paesi emergenti

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La mappa Sace

Export, cresce il rischio nei Paesi emergenti

I prezzi bassi delle materie prime, la posizione debitoria (domestica ed estera) meno sostenibile di diversi paesi emergenti e la riemersione della violenza politica segneranno il 2016 e avranno un impatto sull'export italiano già costretto, per via dell'aumento del rischio, a lasciare sul terreno, lo scorso anno, 5 miliardi di euro in meno di minori esportazioni.

È questa la puntuale fotografia scattata dalla nuova mappa dei rischi 2016 della Sace che, grazie a un sistema di sei rating, ha esplorato anche quest'anno i profili di rischio affrontati da esportatori, finanziatori, investitori industriali e appaltatori al di là dei confini nazionali: dal mancato pagamento (valutato rispetto a una controparte sovrana, corporate o bancaria) al rischio esproprio e violazioni contrattuali, fino al pericolo di guerra e disordini civili. «Il mondo sta cambiando e gli eventi degli ultimi giorni - spiega Roberta Marracino, direttore area Studi e comunicazione di Sace - sono solo l'ultimo segnale della rapidità con cui i mercati ne prendono atto. Prepariamoci a un 2016 più volatile e rischioso con i tre trend che determineranno fortune e sfortune dei diversi paesi».

Secondo l'analisi formulata dalla società guidata da Alessandro Castellano, il divario in termini di rischio tra paesi avanzati ed economie emergenti è tornato a crescere. Così il rischio, evidenzia la mappa, rimane pressocché stabile nei mercati avanzati (indice Sace -1 punto), mentre aumenta sensibilmente nei grandi paesi emergenti (+4 punti) e in alcune aree geografiche, in particolare Medio Oriente e Nord Africa, ma anche America Latina. «Più che ragionare per categorie - chiarisce ancora Marracino - le imprese dovranno dotarsi di un binocolo ben tarato per cogliere i mercati di opportunità. Secondo Sace ci sono 31 miliardi di maggior export (circa l'8% delle vendite italiane all'estero), da cogliere nei prossimi quattro anni in paesi ad alto potenziale: a partire dai mercati che si riaprono, come Iran e Cuba, ma anche nel Mediterraneo (Algeria, Marocco, Turchia), negli Emirati, in America Latina (Cile e Perù) e in Asia (Cina, Filippine, India e Malesia)».

Tornando alla mappa, a registrare sul fronte credito un significativo peggioramento per il rischio sovrano sono, tra gli avanzati, Grecia e Giappone, mentre Brasile, Libia, Russia e Venezuela si segnalano tra le economie emergenti. Quanto ai rischi bancari e corporate, la maglia nera va a Bielorussia, Nigeria e Tunisia. La geografia del rischio ha dunque cambiato pelle e sta scontando, come detto, anche l'impatto di altre variabili, a cominciare dai bassi prezzi delle materie prime, particolarmente insidiosi per le economie poco diversificate. In particolare, evidenzia la mappa, nove economie (pari al 7% dell'export italiano) stanno peggiorando i propri fondamentali per via dell'andamento del costo delle commodity, tra le quali spiccano Algeria, Arabia Saudita e Venezuala.

C'è poi una variazione ascrivibile anche all'indebolimento dei conti pubblici nei paesi emergenti. Ma quale sarà la ricaduta per gli operatori italiani? Secondo l'analisi della Sace, le situazioni più problematiche in termini di mancati pagamenti si registreranno in quei paesi in cui l'attuazione di politiche fiscali restrittive, messe in campo per invertire la tendenza di accumulo del debito, non sia praticabile o laddove la sostenibilità debitoria sia già in parte compromessa, su tutti Brasile, Mongolia e Ghana. Quanto all'ultimo tassello, cioè l'impatto collegato alla geopolitica e alla riemersione del terrorismo, le aree più colpite sono il Medio Oriente e l'Africa sub-sahariana.

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