Per arrivare a cogliere con le mani nel sacco i siti che in maniera illegale smerciavano gratuitamente i quotidiani nella loro versione digitale, è stato anche cambiato il sistema di “marcatura” del prodotto: dalla stringa numerica gli editori sono passati a una sorta di immagine per ogni copia «2.0» venduta. Del resto, le contromisure in quest’ambito vengono prese subito e gli elementi usati per l’operazione della Gdf di meno di un anno fa (aprile 2015) sarebbero sicuramente stati aggirati.
Visto che tutto nasce da una copia venduta legalmente e poi forzatamente hackerata, non si poteva che partire da lì. E così il “pedinamento digitale” è stato anche questa volta l’arma in più per sequestrare 10 siti (in Italia), oscurarne altri 5 (allocati all’estero) e denunciare cinque persone per illecita diffusione sul web di contenuti protetti dal diritto d’autore (si rischia una reclusione da 2 a 4 anni, al netto delle aggravanti). La Procura di Roma ha poi disposto perquisizioni e sequestro di materiale informatico a carico di soggetti, tutti italiani, nelle province di Napoli, Carbonia-Iglesias, Brescia, Roma, Frosinone e Torino.
Il bilancio dell’operazione “Fenice” (nome che immediatamente richiama a qualcosa che “risorge”), coordinata dalla Procura di Roma e condotta dal Nucleo speciale per la radiodiffusione e l’editoria della Guardia di finanza guidato dal colonnello Marco Agarico, sta in questi numeri, ma non solo. Basti pensare che per uno solo dei siti chiusi sono stati quantificati ricavi pubblicitari di 40mila euro annui. Se valesse la stessa cifra per tutti i 15 siti colpiti si arriverebbe a 600mila euro: soldi drenati alla pubblicità che sarebbe dovuta andare agli editori. Senza contare poi tutti i contraccolpi legati alla mancata vendita di copie e abbonamenti.
«Quello che abbiamo fatto – spiega al Sole 24 Ore il generale Gennaro Vecchione, comandante delle Unità speciali della Guardia di finanza, cui fa capo il Nucleo che ha condotto l’operazione – è affidarci al metodo del “follow the money” puntando alla tracciatura delle risorse che collegano i gestori dei siti agli investitori pubblicitari, quasi totalmente ignari della destinazione dei propri investimenti». La pubblicità è un punto chiave. «Dopo le operazioni contattiamo gli investitori. Tra questi – conferma il generale Vecchione – ci sono anche multinazionali». Certo è che «questa maggiore attenzione sta portando i siti pirata a puntare a modelli su abbonamento». In un caso o nell’altro si tratta di colpi che fanno male a una filiera editoriale che la crisi la sta sentendo forte: in tre anni (2012-2014) i ricavi da vendita di quotidiani e periodici sono scesi del 17,1% a 3 miliardi di euro, con calo della pubblicità ancora maggiore: -28,5% a 1,725 miliardi (dati Fieg).
Da tempo, ha commentato il presidente della Fieg, Maurizio Costa che ha espresso alla Gdf e alla Procura di Roma «profondo apprezzamento per l’ulteriore segnale di attenzione al settore dell’editoria», gli editori italiani «denunciano le continue violazioni del diritto d’autore e il saccheggio sistematico dei contenuti editoriali, attuati sia con azioni di vera e propria pirateria sia attraverso utilizzazioni “clandestine” di contenuti altrui, come le rassegne stampa realizzate senza autorizzazione dei titolari del diritto di sfruttamento delle opere riprodotte, fino a giungere all’utilizzo illegittimo dei contenuti da parte degli Over the top». Tutti fenomeni di pirateria, aggiunge Costa, che colpiscono «editori che investono invece ingenti risorse. E condizionano in maniera significativa i modelli di business delle imprese editrici».
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