Arrivano i primi distinguo degli operatori sulla legge di riforma dei porti, varata nei giorni scorsi. Ad accendere un faro sulla norma è Assiterminal, l’associazione che raggruppa i terminalisti italiani e che esprime alcune perplessità, frutto di un’analisi meditata, su diversi punti del decreto approvato dal consiglio dei ministri.
«Noi apprezziamo – afferma Marco Conforti, presidente di Assiterminal – gli atti che il governo sta facendo per i porti e la logistica: il piano strategico in agosto, le nuove norme sui dragaggi da poco varate, il lavoro su ecobonus e ferrobonus e ora il testo sulla governance. Sappiamo, inoltre, che sta per uscire il regolamento sulle concessioni portuali. Insomma, l’esecutivo sta portando avanti molti dei temi ritenuti fondamentali dai terminalisti. Tuttavia, non basta fare riforme, bisogna fare buone riforme. E, ad esempio sul decreto della governance (che riduce da 25 a 15 le port Authority, trasformandole in Adsp - Autorità di sistema e conferisce nuovi poteri ai loro presidenti, cancellando i comitati portuali, ndr), c’è ancora tanto da lavorare».
Conforti spiega che i terminal operator «sono d’accordo sulla riduzione del numero di Authority, concentrate in Adsp, e sul coordinamento tra loro. Ma nessuno ha ancora capito come tecnicamente potranno unirsi soggetti che hanno prassi, contabilità e piani regolatori portuali diversi. Il rischio, tra l’altro, è che un porto che finora ha sofferto per una cattiva gestione possa influenzare l’altro al quale viene unito per decreto e che, magari, invece va bene».
Conforti non fa esempi ma la mente corre alla fusione tra Napoli, da anni in crisi, e Salerno, da tempo in crescita e con una situazione florida. Viene da chiedersi: nella nuova Adsp che li accorpa, prevarrà la mala gestio o quella buona?
Altro punto riguarda i maggiori poteri conferiti ai presidenti delle Authority. «È qualcosa che anche noi avevamo chiesto e va bene. Tuttavia – chiosa Conforti - viene affidato loro anche il compito di promuovere iniziative di reciproco avvalimento fra organi amministrativi operanti dei porti e nel sistema di riferimento». Tutto questo, recita il decreto, secondo criteri che devono essere definiti con atti d’intesa tra ministero delle Infrastrutture e trasporti, dello Sviluppo economico, della Salute e degli altri ministeri di volta in volta competenti. «Il rischio – afferma il presidente dei terminalisti - è che per definire questi atti d’intesa ci vogliano anni. Non dimentichiamoci che per la regolamentazione delle concessioni abbiamo atteso 22 anni».
In merito al tavolo nazionale di coordinamento, poi, «il governo, rispetto ai porti, deve definire, con una pianificazione chiara, quali investimenti statali conferma e quali no: quali sono le sue priorità. Solo mettendo sulla bilancia un piano esplicito, coerente e stabile ci si può aspettare che i terminalisti privati investano, a loro volta, in gru e mezzi. Fermo restando che la nostra categoria sta investendo, nel solo alto Tirreno, circa un miliardo, del quale 700 milioni in terminal contenitori».
Infine, sull’eliminazione dei comitati portuali, sostituiti dai comitati di gestione, Conforti rileva che, nei secondi, «non sono previsti privati ma solo enti pubblici. Le consultazione con la comunità portuale si svolge nei previsti tavoli di partenariato. Ma la norma per ora è scritta male: se non si stabilisce, a livello nazionale, il funzionamento e la rappresentanza dei tavoli di partenariato locali, si rischia l’anarchia, perfino in merito a quali siano i soggetti che devono sedere ai tavoli».
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