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Dossier Troppi vincoli, Shell rinuncia al petrolio dello Jonio

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Dossier | N. 25 articoli17 aprile / Il referendum sulla durata delle trivellazioni in mare

Troppi vincoli, Shell rinuncia al petrolio dello Jonio

La Shell abbandona i giacimenti nel golfo di Taranto. I 2 miliardi di euro in investimenti che erano stati accantonati per essere impegnati in Italia prendono un'altra strada. Forse andranno nel Golfo Persico, oppure in altre parti del mondo in cui quei soldi fanno gola e dove hanno bisogno di usare le royalty generate dal petrolio.

La Shell ha mandato al ministero dello Sviluppo economico la lettera — un pugno di righe scritte in termini tecnici — con cui rinuncia al permesso di cercare il petrolio nel mare fra Puglia, Basilicata e Calabria . L'addio della Shell riguarda due permessi di ricerca dalla sigla peregrina, d7482fr-sh e d7482fr-sh.

Il motivo dell'abbandono non è il prezzo basso del greggio. Le compagnie petrolifere decidono gli investimenti sulla base delle disponibilità finanziarie, ovviamente, e i valori attuali del petrolio rendono più magra la borsa cui attingere,ma programmano gli investimenti con una visione di molti anni, anche di decenni.
Il motivo per cui rinunciano è il rischio Paese. Qualsiasi programma di investimento viene reso inaffidabile dal tira-e-molla della politica italiana, la cui visione non ha una prospettiva di decenni, non a mesi e nemmeno a settimane.

Non si sa nel dettaglio quanto greggio c'è là sotto. I geologi, elaborate le mappe del sottosuolo, assicurano che ce ne siano quantità impressionanti. Il “tema geologico”, come dicono loro, è lo stesso della Val d'Agri e di Tempa Rossa, i più importanti giacimenti europei in terraferma.

Finora non è stata condotta alcuna perforazione esplorativa per saggiare gli strati profondi sotto il fondo dello Ionio.

La prima richiesta della Shell per poter studiare le rocce profonde sotto il mare di Taranto è del novembre 2009. Ma poco dopo il Governo Berlusconi tarpò le ali a tutti i progetti nelle acque territoriali italiane, cioè quelli che ricadevano entro le 12 miglia (22,3 chilometri) dalla linea di costa. Frenata brusca della Shell.

Il Governo successivo, che era presieduto da Mario Monti, confermò il divieto ma decise di fare salve le procedure già avviate, tra le quali i due permessi di ricerca nello Ionio. Accelerata della Shell.

Quattro mesi fa, in ottobre, dopo un iter di 35 mesi la compagnia aveva ottenuto il via libera ambientale all'analisi del sottosuolo con un decreto di compatibilità firmato dai ministri dell'Ambiente, Gian Luca Galletti, e dei Beni culturali, Dario Franceschini. Acceleratore a paletta.

Poi dieci Regioni hanno ottenuto di fare un referendum no-triv per bloccare le attività petrolifere. La Shell ha alzato il piede dall'acceleratore.

A fine dicembre il Governo, nel tentativo di evitare il referendum, ha vietato tutte le attività nelle acque nazionali, cioè entro le 12 miglia dalla costa. Frenata a chiodo della Shell.
Una parte delle aree ottenute dalla Shell è dentro le 12 miglia. Ed è la parte che riserva più succo. Una parte, più al largo, non è toccata dal divieto ma i geologi sono molto cauti sul contenuto delle rocce profonde.

Il referendum si farà comunque, il 17 aprile, anche se su un quesito di modesta presa (la durata delle concessioni già in esercizio).

Ora la compagnia ha spento il motore e sfilato la chiave dell'investimento da 2 miliardi.

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