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Formazione hi-tech per futuri imprenditori

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Formazione hi-tech per futuri imprenditori

C’è sempre un codice alle basi dell’umanità: un codice genetico, un codice di leggi, un codice dell’anima, un codice d’onore. Dalla capacità di decifrare e scrivere codici dipendono spesso l’esistenza, il benessere e la vita pacifica del genere umano. Tutti noi abbiamo la consapevolezza di vivere un momento storico complesso da cui dipende il futuro, ma pochi intuiscono che una delle risposte potrebbe venire dalla capacità di scrivere e decifrare codici. In questo momento d’incertezza e difficoltà economica e sociale a livello globale, l’umanità sta vivendo gli effetti della rivoluzione digitale, paragonabili alle conseguenze della stampa o dell’elettricità, per quanto ancora iniziali. Ecco perché si parla sempre più di digital humanities, non solo nel senso tradizionale dell’applicazione di tecniche informatiche (come ad esempio la digitalizzazione e la metadatazione di libri e archivi), ma come una nuova transdisciplina globale che mette in discussione il ruolo dell’essere umano, sia esso un cittadino o un lavoratore, in questa nuova era informatizzata. Altrimenti detto, questa è l’epoca in cui le humanities reinterpretate con il linguaggio digitale possono tornare a giocare un ruolo fondamentale nella vita pubblica, offrendo opportunità dall’enorme potenziale per la società e per l’economia. Ciò che è sorprendente è che il significato profondo di questa transdisciplinarietà delle digital humanities sia stato meglio compreso dalle nuove generazioni piuttosto che dai leader politici ed economici.

Sono i giovani che dimostrano come integrare le tecnologie informatiche nelle più svariate attività. Shawn Fanning, conosciuto nel mondo come Mister Napster, a 19 anni inventò la prima piattaforma peer-to-peer per condividere file musicali; la padronanza di un nuovo linguaggio gli permise di scrivere un codice che ha mutato per sempre le modalità con cui la musica viene distribuita e fruita, determinando un cambiamento epocale di uno dei business più proficui al mondo. Mark Zuckerberg forse non sapeva parlare con le ragazze, ma conosceva la lingua che gli ha consentito di dare vita al network che ha rivoluzionato le relazioni sociali e sentimentali dei giovani (e non solo) di tutto il mondo. Più vicino, in Italia, Christian Sarcuni da Matera, studente dell’Università di Bologna, ha ripensato al consumo di pizza, il cibo iconico degli studenti, creando nel suo appartamento la piattaforma per il food delivery più redditizia in Europa. E sul fronte no profit, Giacomo (I liceo), forte delle competenze sviluppate nel tempo libero alla Digital Accademia e a CoderDojo, ha contribuito alla creazione di un’applicazione che dà la possibilità di scrivere con il battito delle palpebre a persone con difficoltà di comunicazione.

Se da un lato queste sono solo storie di giovani creativi, dall’altro sono esempi dell’impatto che la capacità di scrivere linee di codice informatico può avere su tutti gli ambiti dell’esperienza e della conoscenza umana. Inoltre, moderni strumenti di programmazione, come Scratch proposto dal Mit di Boston, ci rassicurano sul fatto che oramai l’apprendimento dei linguaggi per scrivere codici è cosa alla portata di bambini persino in età prescolare e che questo tipo di attività aprirà loro le porte del mondo, come ieri è stato per la conoscenza delle lingue, con un ulteriore effetto di democratizzazione delle opportunità che trova eguali in tempi recenti solo nella diffusione dei personal computer e di internet.

Alla luce di ciò, è necessario ripensare il sistema educativo per offrire questi strumenti a tutti i giovanissimi e avviare una riflessione su cosa si debba intendere per humanities ai giorni nostri. Non è un caso che il Presidente Obama abbia recentemente avviato una riforma lungimirante per l’educazione scolastica finalizzata a offrire competenze di pensiero computazione a tutti gli studenti americani, dall’asilo al liceo; la dotazione iniziale è di 4 miliardi di dollari con il fine di non essere più solo consumatori passivi di tecnologia, ma divenirne creatori. L’aspetto eccitante di questo programma è la matura presa d’atto che tutto ciò non riguardi solo la diffusione di strumenti fine a se stessi, ma l’apprendimento di un linguaggio, di un assetto mentale che si tradurrà in professione, impresa, crescita economica, sociale e culturale per i giovani. Questo tipo di formazione rappresenta una scommessa per risollevare le sorti dell’economia, incrementare la partecipazione femminile in alcuni contesti e ruoli organizzativi e favorire il coinvolgimento delle minoranze. L’appello di Obama segue di poco le meritorie iniziative di associazioni volontaristiche, come il già citato CoderDojo o Code.org, che promuovono (anche in Italia) il coinvolgimento attivo dei bambini nel mondo digitale, insegnando loro coding nell’intento di trasmettere la consapevolezza del potenziale che hanno a disposizione. Ispirati a Umberto Eco e alle sue recenti considerazioni a proposito di apocalissi e integrazioni tecnologiche, è facile intuire che se si tratta di rivoluzione, una “rivoluzione morbida” in cui la nostra realtà, il nostro mondo, le nostre idee, il nostro patrimonio culturale diventano terreno fertile su cui si innesteranno le invenzioni dei nostri ragazzi.

Com’era il mondo prima lo sappiamo già. Ce lo raccontano la scrittura, la musica, la pittura, l’arte in genere. Come sarà domani ce lo racconteranno i nostri figli con un linguaggio che noi stentiamo a comprendere, ma che loro hanno già iniziato a parlare.

* Bologna Business School

**Università di Bologna

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