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Gli Usa a Milano a caccia di start-up italiane

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Gli Usa a Milano a caccia di start-up italiane

«Per avere una start -up di successo bisogna avere un’idea valida, un business plan altrettanto chiaro e valido e la capacità di saper sintetizzare entrambi, in maniera convincente, nel breve lasso di tempo di un viaggio in ascensore. Sperando che il nostro potenziale investitore abbia un ufficio tra i piani alti di un grattacielo». Parte da qui Daniel Glazer, partner della Law Firm Fried Frank’s Technology Transactions Group nel mettere in chiaro quali sono le fondamenta di una start-up.

L’occasione è il seminario tecnico, organizzato, ieri a Milano, da SelectUsa (l’agenzia per l’attrazione degli investimenti esteri negli Stati Uniti), per spiegare, a un parterre di startupper più e meno giovani, che se si vuole crescere negli Usa, conviene aprire una società di diritto americana e, dunque, quali sono gli aspetti fiscali, legali, ma anche il visto che serve.

Sembra facile. Ma non è. Anche se rispetto alla burocrazia di casa nostra, la possibilità di aprire in Delaware una società, via internet, in 24 ore (con tanto di risposta della locale autorità competente in eguale lasso di tempo) può sembrare fantascienza.

E infatti le domande del parterre italiano si moltiplicano. «Quale visto devo chiedere?»,
«Devo proprio aprire una società americana per operare in Usa?», «Dove si pagano le tasse?» «Come e dove si incontrano finanziatori?», «Perchè le valutazioni di merito dei finanziatori italiani sono diverse rispetto a quelle degli Us investors?»
«Sul fronte dei visti – spiega John Tavenner, responsabile Visti e Immigrazione per l’Ambasciata Usa in Italia – le possibilità sono molteplici. Il visto turistico può servire per “esplorare” l’ecosistema Usa. Ma esistono fattispecie di visti sia per chi ha un commercio stabile verso gli Usa (il cosiddetto E1), sia per chi ha avviato un investimento negli Usa (E2), particolarmente favorevoli per Paesi che hanno stretto accordi con gli Stati Uniti e tra questi l’Italia è compresa».
Chi decide di operare con una start-up su suolo americano può anche farlo aprendo una sorta di “filiale” di una realtà italiana. Ma rischia di complicarsi la vita sul fronte fiscale e, se opera in uno Stato, di avere restrizioni a fare business, magari in altri Stati.
«Per questo – spiega Glazer – noi consigliamo di aprire una società di diritto statunitense. Dipende dal tipo di attività che si vuole intraprendere. Ma in genere gli startupper europei preferiscono la Llc (Limited Liability Company ), che ha senso se fa capo a una persona fisica. I costi sono limitati. Il non residente americano presenta la dichiarazione dei redditi in America come persona fisica e paga le tasse sui redditi prodotti dalla società negli Stati Uniti».
Il Fisco federale, complessivamente, pesa circa tra il 30 e il 35 % dell’imponibile. Poi c’è la tassazione statale che varia tra il 6 e l’8 per cento. Tranne nel Delaware, dove non c’è. «Ma il Delaware non è un “paradiso fiscale” – avverte Glazer –. È complessivamente efficiente per il business. Consente di aprire una società online in poche ore, ha una giustizia specializzata e rapida nel contenzioso societario e consente di operare liberamente in tutti gli altri Stati.

Ma un aspetto non è meno importante, per gli esperti Usa. Tutelarsi. Registrare un’idea, un marchio, un logo, brevettare sempre (se possibile). Farlo in Usa è essenziale per avere la tutela sulla proprietà intellettuale dai tribunali Usa. Ma va fatto anche in Europa. I costi certamente lievitano. Ma investire nella tutela giuridica è essenziale.

Ma ad oggi quale è la realtà delle start-up italiane? A differenza dei nerd che escono dalle università a “stelle e strisce”, i nostri startupper hanno mediamemnte 40 anni e giungono alla start-up o dopo una lunga esperienza di dottorato e ricerca accademica o vi arrivano dopo un’esperienza professionale consolidata. Oggi, in Italia sono oltre 4800 le cosiddette “start-up innovative”, cioè quelle iscritte nella sezione speciale del registro della Camera di commercio. Mediamente 4 è il numero medio di soci. Tra settembre 2014 e giugno 2015, il numero di dipendenti e soci occupati ha avuto un incremento del 64% (passando da 13mila a 22mila unità). Tre società su 10 sono legate allo sviluppo di software e alla consulenza informatica, ma oltre il 15,4% opera nel campo della Ricerca & Sviluppo. Anche se solo il 6% di queste nuove realtà ha sinora depositato un bilancio con un fatturato superiore a 500mila euro.

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