firenze
Due anni passati ad aspettare – dalla firma dell'accordo di programma per Piombino nell'aprile 2014 a oggi - senza che da Governo e Regione Toscana sia arrivata alcuna soluzione, e ora la Magona intravede un grosso rischio all'orizzonte: i costi energetici troppo alti potrebbero ipotecare il futuro dell'azienda siderurgica del gruppo ArcelorMittal che produce laminati piani zincati e preverniciati, 300 milioni di fatturato 2015 e 514 dipendenti, per più di un terzo in solidarietà. L'allarme sui costi energetici arriva a poche settimane da quello, dello stesso tenore, lanciato dalla Solvay di Rosignano (Livorno) in vista della scadenza, a fine anno, degli incentivi legati al Cip6.
«In Italia paghiamo l'energia elettrica 122 euro a megawattora – spiega Giovanni Carpino, direttore dello stabilimento ArcelorMittal-Piombino – rispetto ai 57 euro a megawattora pagati dallo stabilimento parigino del nostro gruppo e ai 70 euro pagati da quello spagnolo. E il rischio è che questi costi non siano più sostenibili».
Nonostante la ripresa della produzione registrata l'anno scorso (salita da 350 a 500 tonnellate), la Magona continua infatti a soffrire la concorrenza dei prodotti cinesi a basso costo e a chiudere i bilanci in rosso (anche nel 2015 perderà alcuni milioni), al punto che la proprietà ha già fatto due ricapitalizzazioni da 50 milioni ciascuna nel 2009 e nel 2014.
«Nell'ultimo anno abbiamo riavviato due linee produttive e reintegrato a tempo pieno un centinaio di lavoratori – sottolinea l'azienda in un comunicato – ma non si può rischiare di sospendere nuovamente queste attività a causa di costi produttivi elevati, che potrebbero ripercuotersi sull'operatività dello stabilimento e sui posti di lavoro». Il pericolo che aleggia non è neppure troppo lontano: quindici giorni fa la casa madre ha deciso di chiudere temporaneamente lo stabilimento di Sestao, in Spagna, che impiega 350 dipendenti, per i costi troppo alti.
Quel che brucia all'azienda sono le promesse mancate. «L'accordo di programma per Piombino e la dichiarazione di area di crisi complessa – spiega Carpino - avevano aperto la porta a una riduzione dei costi energetici, prevista peraltro nell'articolo 12 dello stesso accordo, ma oggi, a distanza di due anni, tutte le soluzioni ipotizzate col ministero e con la Regione sono tramontate. E allora ci chiediamo: a cosa serve la dichiarazione di area di crisi?».
Ad aggravare le cose, secondo l'azienda, potrebbe esserci anche l'effetto del Jobs Act sulla solidarietà in scadenza il 31 marzo: «Col passaggio alla cassa integrazione – sottolinea il direttore dello stabilimento – molti lavoratori, soprattutto quadri, avranno una forte riduzione dello stipendio, mentre l'azienda avrà un aumento della contribuzione e maggiori vincoli nella percentuale minima di lavoro da assicurare a ciascun dipendente. Il risultato sarà, da una parte, una demotivazione di molti lavoratori e, dall'altra, un aumento dei costi aziendali che potrebbe indurre il gruppo a scelte diverse». Scelte dolorose: «Così facendo l'Italia può perdere treni importanti», sottolinea l'azienda.
© RIPRODUZIONE RISERVATA