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Il lavoro da fare per una crescita forte

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analisi

Il lavoro da fare per una crescita forte

Rossella Orlandi, direttore dell'Agenzia delle Entrate (Ansa)
Rossella Orlandi, direttore dell'Agenzia delle Entrate (Ansa)

Nel giorno in cui la direttrice dell’Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, evoca per i contribuenti riottosi il «lato oscuro dell’accertamento», il lato chiaro dei dati Istat suggerisce a tutti – ottimisti e pessimisti per principio o scelta politica – valutazioni prudenti.

Perché se non siamo nel peggiore dei mondi possibili, vicini alla catastrofe, non siamo neanche nell’eden dove si respira a pieni polmoni l’aria frizzante e contagiosa della ripresa.

Il chiaro e lo scuro. Cosa si può dire di una grande potenza industriale che rivede la luce (+0,8% il Pil alla fine del 2015) dopo tre anni consecutivi di caduta (-2,8%, -1,7%, -0,3%) col segno meno davanti ma che trova la Germania a +1,7%, la Francia a +1,2%, Usa e Regno Unito ben oltre il 2%? E che dire ancora di questo +0,8% finale (il Governo aveva previsto +0,9%) ma frutto nel corso del 2015 di un andamento tutto al ribasso?

Il chiaro e lo scuro. Guardando ai saldi della finanza pubblica si legge che il deficit in rapporto al Pil è pari al 2,6%, il risultato migliore dal lontano 2007 (1,5%), ma si constata anche che il saldo primario al netto degli interessi che paga lo Stato è all’1,5%, in caduta costante dal 2012 (2,2%). Vero, il debito pubblico (132,6% in rapporto al Pil, meno del 132,8% previsto dal Governo, 2.170 miliardi in valore assoluto, livello record) è cresciuto solo dello 0,1% rispetto al 2014 e la pressione fiscale è scesa al livello più basso dal 2011, il 43,3%, dal 43,6% del 2014. Ma parliamo sempre di dati abnormi, al pari della spesa totale (-0,1% e va segnalata la positiva inversione di tendenza, dopo molti anni, nella crescita degli investimenti fissi lordi) che comunque si colloca al 50,4% in rapporto al Pil a fronte del 47,8% relativo alle entrate totali.

Questi, accanto a quelli su occupazione e disoccupazione di cui scrive oggi su queste colonne Luca Ricolfi, non sono dunque i numeri di una ripresa in grande stile “senza se e senza ma”. Però non sono neanche il preannuncio di una catastrofe e il segno di un fallimento, altrettanto “senza se e senza ma”, delle scelte di politica economica del governo. In questo senso, dire che siamo di fronte ad una ripresa debole, e molto a rischio anche perché il rallentamento dell’economia mondiale è palese e imbottito di incognite, può sembrare banale. Ma di questo si tratta, tenuto conto che gli effetti di trascinamento della svolta del 2015 sono bassi e che già i numeri del 2016 ondeggiano. Dopo il +0,8% del 2015, il Governo ha messo in pista un +1,6% del Pil, un +1% d’inflazione e una riduzione del debito sempre nel rispetto della regola europea sul tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil. I primi due numeri, anche alla luce della persistente deflazione, non si realizzeranno e la crescita è destinata a scendere. Quanto alla flessione del debito pubblico (che la Commissione europea vede oggi al 132,2% con un Pil a +1,4%), il Governo continua a prospettare l’inversione di tendenza sul filo dei decimali ma è proprio la crescita più bassa del previsto a minarne alla base la possibilità, salvo miracoli dal lato delle privatizzazioni, sui quali nutrire dubbi molto ragionevoli è il meno che si possa fare.

I numeri ufficiali del 2015, ancorché marginalmente, migliorano comunque la posizione al tavolo di Bruxelles sulla flessibilità di bilancio (a maggio ci sarà l’esame e il giudizio finale sulla manovra 2016 e solo dopo potranno essere discusse le quote aggiuntive di deficit per il 2017), ma non la spianano certo – stando alle regole attuali, che prevedono insieme meno deficit e meno debito – verso la “scossa” fiscale che sarebbe necessaria per far ripartire una crescita forte, a sua volta vera garanzia per la discesa del debito. Ieri il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, restando nel perimetro della realtà possibile al momento, ha spiegato che «al di là degli annunci, i nuovi tagli di tasse andranno comunque collocati in un quadro di compatibilità». Come dire un passo per volta, senza fughe in avanti e partendo dalla necessità, per cominciare, di mettere fuori gioco le clausole Iva per il 2017. Non è il peggiore dei mondi possibili, ma non è neanche il giardino incantato da spot pubblicitario.

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