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Dossier L'Ocse: alzare la qualità del lavoro

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Dossier | N. 6 articoliRapporto Sviluppo Sostenibile

L'Ocse: alzare la qualità del lavoro

Angel Gurria (Epa)
Angel Gurria (Epa)

Il lavoro sta cambiando il suo volto. L'automatizzazione industriale, la digitalizzazione dell'economia e la debole ripresa o tenuta del mercato del lavoro in diversi Paesi sviluppati porteranno via milioni di posti di lavoro e altri, inaspettati, ne creeranno. Che fare per garantire la coesione sociale? In molti si interrogano su questo tema, dal Forum di Davos alle università di mezzo mondo. In base allo studio Future of jobs, presentato al World economic forum, i colletti bianchi di medio livello, che fanno lavori ripetitivi, perderanno quasi cinque milioni di posti di lavoro da qui al 2020. E oltre un milione e mezzo di occupazioni sono condannate, nel manifatturiero, dall'arrivo della quarta rivoluzione industriale.

Ma c'è chi non si piega al catastrofismo. Per Stefano Scarpetta, direttore per l'occupazione e gli affari sociali dell'Ocse, «l'innovazione stimola anche la creazione di nuovi posti di lavoro e il saldo finale non dev'essere per forza negativo».
L'Ocse - l'organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico con sede a Parigi - sta mappando i “cantieri” culturali da aprire, per tenere l'occupazione al passo con i tempi. Il primo è orientare la formazione in modo tale da non cadere nella trappola dell'irrilevanza. Il secondo cantiere è quello della protezione sociale. Le nuove piattaforme dell'economia on demand hanno creato milioni di posti, ma la crescita del lavoro autonomo mette in gioco tutto il sistema, trasferendo i rischi sociali quasi completamente sulle spalle dei lavoratori.

Il problema della qualità del lavoro si pone già oggi, come dimostra un rapporto Ocse appena uscito. L'organizzazione - che associa 34 Paesi cosiddetti “sviluppati” - ha sviluppato un approccio basato su tre dimensioni: la qualità delle remunerazioni (la media ma anche la loro distribuzione tra gli occupati), la protezione nel mercato del lavoro (intesa come la probabilità di perdere un posto e ricevere un sussidio) e la qualità dell'ambiente di lavoro, cioè gli aspetti non economici ma correlati agli orari e alle relazioni negli uffici o negli impianti produttivi. «La qualità è importante non solo per il benessere dei lavoratori, ma anche per la produttività del sistema», rileva il segretario generale dell'Ocse, Angel Gurria.

La crisi ovviamente non ha migliorato la situazione: la qualità dei salari è scesa, mentre il grado di protezione è peggiorato sensibilmente. Le retribuzioni sono calate in due terzi dei Paesi Ocse, a cominciare da Regno Unito e Grecia, seguite da Usa, Ungheria e Italia. Si è poi ridotta la sicurezza del lavoro, con il calo più marcato in Spagna, Grecia ed Olanda. L'Italia in questo caso è al sesto posto della classifica.

Lo studio evidenzia come, in generale, i giovani e i lavoratori meno qualificati siano i più danneggiati. Non solo hanno le peggiori performance in termini di tassi di occupazione, ma anche la minore qualità del lavoro, ovvero basse retribuzioni, maggiore insicurezza e alto stress, in particolare i meno qualificati.
Per le donne, il quadro è contrastato: i tassi di occupazione sono inferiori agli uomini e c'è un ampio divario nelle retribuzioni, ma non ci sono differenze in materia di sicurezza.
Le sfide sul futuro del mercato del lavoro non si giocano dunque solo sulla quantità dei posti, ma anche sulla loro qualità. «La nostra analisi dimostra che i due aspetti vanno insieme: i Paesi che fanno relativamente bene in termine di qualità sono anche quelli con i tassi di occupazione più elevati», fa notare Scarpetta.
I risultati per l'Italia non sono incoraggianti: la qualità del lavoro in Italia è bassa, al di sotto della media Ocse, in particolare per quanto riguarda la sicurezza e la qualità dell'ambiente.

In termini di qualità delle remunerazioni l'Italia è nella media: nonostante i salari medi siano inferiori alla media Ocse a parità di potere d'acquisto, le disuguaglianze nella loro distribuzione sono meno marcate che in molti altri Paesi. I due elementi insieme permettono di posizionare l'Italia nel gruppo di mezzo, al 14esimo posto sui 33 Paesi presi in considerazione, lontana dai Paesi scandinavi, ma anche da quelli dell'Est Europa.
Il problema più importante è invece la protezione nel mercato del lavoro. L'Italia è terz'ultima, subito dopo Grecia e Spagna: l'insicurezza deriva da una probabilità relativamente elevata di perdere il posto e non ritrovarne un altro rapidamente, ma soprattutto da un sistema di sostegno al reddito per i disoccupati che ne protegge solo una parte.

Anche in termini di qualità dell'ambiente di lavoro l'Italia è nella parte bassa della classifica. Oltre a Grecia e Spagna, fa meglio solo di alcuni Paesi dell'Est Europa: quasi la metà dei lavoratori italiani è sotto pressione, cioè con ritmi di lavoro e rischi per la salute non compensati dal livello di autonomia e sostegno che ricevono.
Il Jobs act, per Scarpetta, va nella direzione giusta. Ma c'è ancora molto altro da fare.

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