Lavoro flessibile per tutte le attività che possono essere svolte in questa modalità. «Nell’attuale arco di piano d’impresa, quindi in tempi brevi, Intesa Sanpaolo riuscirà a dare un’estensione più importante allo smart working - dice Patrizia Ordasso, responsabile relazioni industriali del gruppo Intesa Sanpaolo -. Fermo restando il vincolo forte che è rappresentato dall’apertura della filiale l’idea è di estenderlo a tutto il gruppo». Nella società che ha in Italia 65mila dipendenti, lo smart working è nato a fine 2014 con un’intesa con il sindacato. «Il progetto si è sviluppato in una sede paritetica azienda-sindacati, il comitato welfare, sicurezza e sviluppo sostenibile, previsto dal nostro protocollo sulle relazioni industriali che si occupa di cercare soluzioni innovative in un ambito di welfare allargato», continua Ordasso.
Il 5 marzo sarà un anno dall’avvio dello smart working e i numeri parlano di un apprezzamento molto forte, a partire dalla fase di sperimentazione che si è conclusa in dicembre e che oggi lascia spazio alla fase operativa. «Siamo partiti con un bacino di circa mille persone e un’adesione iniziale da parte di circa 700 lavoratori - spiega Ordasso -. I principi fondanti erano che avremmo fatto aderire strutture e non i singoli dipendenti. Una volta arrivata l’adesione della struttura, tutti i colleghi che hanno fatto richiesta hanno potuto aderire allo smart working, salvo situazioni oggettive che lo impedivano». Il progetto è partito «senza investimenti specifici. Volevamo prima capire se e come sarebbe andata la sperimentazione. I risultati di dicembre sono stati più che positivi». Il perimetro è stato allargato a 5.300 persone e 3.500 sono quelle che lo fanno in modo continuativo. Secondo le tre diverse modalità previste dall’accordo ossia da casa, da un hub aziendale o dal cliente. Le strutture che hanno aderito sono 400 e sono stati più gli uomini che le donne ad aderire. Lo strumento, che non ha alcun impatto sulla busta paga, ha poche e chiare regole. Come per esempio il fatto che «ogni responsabile verifica la pianificazione settimana per settimana e autorizza le richieste - continua Ordasso -. Le giornate lavorate da casa sono al massimo 8 al mese perché la prevalenza dell’attività lavorativa deve svolgersi in sede aziendale». Secondo i dati aziendali la modalità più utilizzata è da casa (86%), poi da hub aziendale (12%) e infine dal cliente (2%). L’impatto sulla produttività è molto buono. «Analizzando il campione che ha partecipato alla sperimentazione abbiamo constatato una riduzione del 10% delle assenze e del 20% delle assenze di un solo giorno e una riduzione degli straordinari - osserva Ordasso -. Dal punto di vista qualitativo una survey con i responsabili di struttura ha evidenziato una maggiore responsabilizzazione dei colleghi e una loro maggiore proattività». Se modello che vince non si cambia, «nel passaggio dalla sperimentazione alla modalità ordinaria le regole non sono state modificate - conclude Ordasso -. Vista l’impossibilità di estendere il lavoro flessibile ad alcune professionalità come quella dei cassieri, si è pensato di riprogettare le iniziative di formazione, immaginando lo svolgimento da casa. Il ccnl prevede un minimo di 50 ore di training all’anno e vogliamo dare la possibilità anche a chi non può svolgere il lavoro flessibile di poter avere alcune giornate di smart working per la formazione».