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Il salone romagnolo dell’ortofrutta dice no al trasferimento a Milano

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Il salone romagnolo dell’ortofrutta dice no al trasferimento a Milano

Macfrut resta in Romagna e dice di no a Milano. I corteggiamenti meneghini non hanno convinto i soci cesenati del salone internazionale dell’ortofrutta ad accettare la proposta di nozze nel 2017 con Tuttofood, altra manifestazione globale nel B2B del food&beverage che si svolge negli anni dispari in FieraMilano. Evento che non turba gli equilibri con i vicini di Parma che sempre in maggio (ma negli anni pari) organizzano il primo salone dell’alimentare made in Italy, Cibus, ma infastidisce Fiera di Cesena (proprietaria di Macfrut) che organizza invece in settembre, ogni anno, il suo salone di punta specializzato nella filiera ortofrutticola e che giusto l’anno scorso lo aveva traslocato da Cesena a Rimini per assecondarne la forte espansione (lo spostamento ha permesso di passare da 800 a oltre mille espositori e da 25mila a 39mila presenze). Un fastidio che è nei fatti, perché FieraMilano ha lanciato nel 2015 in diretta e aperta concorrenza con Macfrut un nuovo evento per l’ortofrutta: Fruit Innovation, confluito in Tuttofood. Lasciare ai milanesi il vantaggio competitivo di aprire la stagione con la fiera di settore (per quanto, per ora, secondaria) sarebbe a questo punto un atto di autolesionismo per gli imprenditori romagnoli, che dopo aver votato no all’offerta nuziale dell’ad milanese Corrado Perboni, ora si dicono pronti a votare sì all’anticipo di Macfrut in maggio.

Un decennio di sgambetti fieristici

Uno a zero per l’Emilia-Romagna, dunque, da sempre in guerra con la Lombardia sul versante fieristico, a maggior ragione dopo gli scippi subiti: il più recente in ordine di tempo (2014) quello di Lineapelle, che dopo 28 anni ha trasferito i conciatori italiani da Bologna a Milano con tanto di sequel legale e una richiesta di risarcimento danni da 10 milioni di euro. Un ratto che ha riaperto la ferita del 2007, anno in cui Federlegno ha rescisso anticipatamente il contratto con Bologna per il salone SaieDue, trasferito a Rho con l’etichetta Made Expo e valso a BolognaFiere 6,5 milioni di indennizzo. Nessuno risarcirà invece Rimini per la morte silenziosa di Packology, ora che in IpackIma Milano è entrata con il 51% Ucima, la prima associazione del packaging che fino al 2013 faceva invece rotta in Romagna. Una belligeranza che è diventata gag di annunciati sgambetti fieristici Bologna-Milano nel settore dell’automotive, dopo il funerale 2013 del Motorshow: all’abortito tentativo di rianimare la kermesse bolognese dell’auto nel 2014 sono seguiti una seconda ibernazione nel 2015 per mancate adesioni e il rinvio della 40esima edizione al prossimo dicembre. Milano e l’Auto Show di Alfredo Cazzola sembrano essersi fatti da parte. Risuonano invece oggi lungo tutta la via Emilia gli ultimatum che (da anni) Federunacoma sta lanciando a BolognaFiere minacciando di trasferire a Milano l’evento clou Eima – il salone internazionale di macchine per l’agricoltura e il giardinaggio, che a novembre festeggerà la 42esima edizione – di fronte ai ritardi nel piano di espansione del quartiere Michelino (per contenere le ultime edizioni si sono dovute montare tensostrutture fuori dai padiglioni bolognesi). Piano che è subordinato a una ricapitalizzazione del secondo ente fieristico italiano, che gli azionisti privati non sono disposti a sostenere se non cambia la governance (leggasi il demansionamento del presidente Duccio Campagnoli, cronaca di queste ore).

Le scelte romagnole

Tornando all’ortofrutta, le lusinghe lombarde confermano peraltro la bontà della strategia intrapresa da Macrfut – 33esima edizione in vista, unica fiera di settore finanziata dal Mise – dopo la scelta coraggiosa e rara in Italia di «staccare la manifestazione dai muri senza perderne la gestione, perché l’obiettivo del sistema-fiere italiano dovrebbe essere sviluppare i nostri asset in chiave internazionale non farsi guerre di campanile», sottolinea Renzo Piraccini, da poco più di un anno alla guida di Cesena Fiera (controllata all’80% da Comune e Camera di commercio di Cesena) e quindi di Macfrut, ma con 39 anni di carriera (e pragmatismo) alle spalle nel mondo imprenditoriale (ex ad di Apofruit). «Ho fatto scelte difficili e impopolari in Romagna, come quella di spostare a Rimini Macfrut ma i numeri mi hanno dato ragione. Io credo che se ragionassimo tutti in ottica di sistema – aggiunge il presidente – non solo di holding fieristica unica regionale, ma anche di scorporo delle fiere dai muri saremmo tutti avvantaggiati. Anche il no a Milano, arrivato più forte dalla parte industriale della filiera ortofrutticola (packaging e tecnologie per la lavorazione in primis) non è stata una decisione di campanile ma la valutazione concreta del rischio di perdere la propria identità di filiera del made in Italy». Tra Cesena e il confine Ravennate si trova il infatti più importante distretto ortofrutticolo d’Italia, 45mila ettari che producono ogni anno 800mila tonnellate e danno lavoro a oltre 15mila addetti (il 6% dell’occupazione locale) e valgono un miliardo e mezzo di business.
A brindare allo smacco dei milanesi è, ancor più di Cesena, Rimini Fiera. Che si prende così la propria piccola rivincita verso il colosso fieristico annunciando oggi l’obiettivo dei 600mila visitatori entro giugno, grazie allo straordinario exploit del Sigep (il salone internazionale di gelato) e il successo oltre alle attese di Beer attraction. Una scommessa sulla valorizzazione delle nicchie dell’alimentare italiano con forti chance di innovazione e di sviluppo globale che vale anche per la filiera dell’ortofrutta.

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