I gestori degli stabilimenti balneari italiani (30mila in tutto, al 99% di natura familiare; centomila gli addetti diretti) si preparano alla stagione più incerta dell'ultimo decennio, da quando (era il 2006) la direttiva Bolkenstein ha decretato l'apertura del mercato e messo a rischio-asta le concessioni demaniali marittime finora ottenute in via diretta (si veda Il Sole 24 ore del 1 marzo).
Tra un paio di mesi la sentenza della Corte di giustizia europea che, con tutta probabilità, boccerà la proroga delle concessioni al 2020, fatta dal Governo nel 2012 con l'assunzione dell'impegno a riordinare la materia: quel riordino non c'è mai stato, e ora i balneari si aggrappano al tavolo Governo-Regioni-associazioni di settore, che il ministro per gli Affari regionali Enrico Costa ha annunciato pochi giorni fa a Marina di Carrara.
Sarà, per la prima volta, un confronto allargato a tutte le forze in campo, che avrà però un compito per nulla facile, considerata la varietà di posizioni: elaborare una proposta unitaria da presentare alla Ue. Una proposta che, visti i tempi e la delicatezza della posta in gioco, è ormai scontato che arriverà dopo la sentenza della Corte e dunque dovrà tener conto delle previsioni in essa contenute.
L'ipotesi su cui potrebbe essere trovata la convergenza, a sentire gli operatori, è la richiesta all'Ue di una proroga delle concessioni demaniali per 30 anni, sull'esempio di Spagna e Portogallo, accompagnata dalla messa all'asta delle sole spiagge non assegnate, cioè quelle senza concessionario (il cosiddetto doppio binario). «Occorre equiparare la disciplina italiana a quella di Spagna e Portogallo, che non ha portato alla procedura di infrazione Ue» spiega Fabrizio Licordari, presidente di Assobalneari-Federturismo che ha dato vita, proprio insieme con le associazioni di settore di Spagna, Portogallo e Francia, alla Federazione europea delle imprese balneari (Efebe). In Spagna i grandi gruppi che hanno in concessione le spiagge sono riusciti, attraverso una forte azione di lobby in sede europea, a far avallare dalla Commissione Ue la Ley de Costas del 2013, che prevede una proroga da 30 a 75 anni delle concessioni in essere, senza gare. In Portogallo nel 2007 è stato approvato un decreto che contempla il diritto del concessionario uscente a essere preferito rispetto ad altri concorrenti e il rinnovo delle concessioni esistenti fino a 75 anni. «La strada esiste – aggiunge Licordari – e, ora che il Governo ha deciso di ascoltarci, occorre che anche le Regioni convergano su questa posizione».
Una posizione, quella della proroga trentennale, che però rischia di confliggere con la futura sentenza della Corte di giustizia: in questo caso, la Commissione Ue potrebbe aprire un procedimento di infrazione contro l'Italia, o fare ricorso alla Corte per inadempimento. Per questo la strada si presenta impervia, e passa per un accordo politico con l'Ue. Un accordo che dovrà chiarire anche la questione del riconoscimento - in caso di subentro di un nuovo concessionario per effetto dell'asta - degli investimenti sostenuti da quello uscente e dell'avviamento da monetizzare: un terreno su cui Governo, Regioni e balneari italiani sono ancora distanti.
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