Un’azienda nata sei anni fa, nel 2010, in un ufficio da 40 metri quadrati. Oggi quella azienda conta clienti in sette Paesi. E le sue tecnologie per il digital media le vende anche negli Usa e in California, “culla” riconosciuta della new economy.
Strada ne ha fatta D-Share. Sia in Italia, sia all’estero. E il risultato assume ancora maggior valore se si pensa che il “made in Italy” esportato siano le tecnologie per il digital media e il publishing. Insomma, soluzioni software innovative per la creazione, la distribuzione e la monetizzazione dei contenuti digitali.
L’ultima frontiera per questa ex startup in cui nel 2013 è entrato il fondo d’investimento Principia Sgr «sono i Paesi baltici. Dopo il primo cliente in Polonia abbiamo conquistato da poco il primo cliente a Vilnius», spiega Alessandro Vento, ad della società, poco più di 40 anni, e un passato da manager in Rcs Mediagroup.
Nei Paesi baltici internet è un must e la velocità di diffusione delle nuove tecnologie è tra le più alte al mondo. Nei mercati tradizionali l’azienda punta invece «anche su quelle realtà che pur non essendo editori sono produttori di contenuti». Il mondo dei viaggi, dei trasporti, del turismo forniscono un’ampia gamma di esempi in tal senso, ai quali D-Share inizia a guardare dopo aver conquistato un portafoglio di referenze di tutto rispetto. In Italia ha sviluppato prodotti editoriali per il Gruppo L’Espresso, Il Sole 24 Ore, Caltagirone Editore, Mondadori, Poligrafici Editoriale, Il Giornale. All’estero, fra gli altri ci sono Walt Disney, Condé Nast, Huffington Post.
«La nostra società fattura sui 5 milioni e occupa una cinquantina di dipendenti», precisa Vento. All’estero D-Share, headquarter a Modugno (Bari), realizza il 40% dei suoi ricavi. L’obiettivo è arrivare al 50% entro il 2018, con un sostanziale raddoppio del fatturato. «Sia in Italia, sia all’estero – spiega Vento – ci sono casi che dimostrano come nel news publishing sia possibile sviluppare un business che, in prospettiva, conquista volumi e fatturato».
In generale però ci sono due tipi di problemi da affrontare nel settore: «Il primo è che occorre offrire un prodotto davvero competitivo e correttamente posizionato, in grado di costruire una reale alternativa al resto del mondo del digital entertainment, come il film su Netflix, la musica su Spotify, i social». Il secondo è che occorre «pensare in prospettiva e abbandonare l’idea secondo la quale è possibile sviluppare un business digitale con volumi importanti in uno o due anni».
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