Tutti contro la filiera corta imposta per “legge”: i commercianti e gli artigiani fiorentini criticano il disciplinare approvato nei giorni scorsi dalla Giunta comunale di Firenze che, in nome della tutela del centro storico patrimonio dell’Unesco, prevede - per aprire una nuova attività alimentare o di somministrazione - l’obbligo di utilizzo del 70% di prodotti di filiera corta o tipici del territorio.
A decidere sulle richieste sarà una commissione tecnica. Il disciplinare, presentato dall’assessore allo Sviluppo economico Giovanni Bettarini (in attuazione del regolamento per la tutela e il decoro del centro storico approvato dal Consiglio comunale nel gennaio scorso), punta a elevare la qualità dell’offerta: «Non possiamo lasciare che il commercio venga completamente stravolto, perché è parte dell’identità di questa città», sostiene Bettarini.
Ma Confesercenti, Confcommercio e Cna Unione Alimentari, pur condividendo l’obiettivo della tutela del centro storico e della diffusione di prodotti di qualità, giudicano la misura eccessiva e penalizzante. Claudio Bianchi, presidente fiorentino di Confesercenti, lancia un appello al sindaco Dario Nardella per introdurre «aggiustamenti necessari» che rendano i principi del disciplinare «possibili e compatibili con la realtà della nostra ristorazione e delle diverse attività commerciali».
«Consideriamo inapplicabile la percentuale del 70% di prodotti locali per la stragrande maggioranza delle attività economiche», aggiunge Bianchi, sollecitando un abbassamento della percentuale, da riferire solo ai prodotti destinati alla vendita escludendo la trasformazione e la somministrazione. Per Confcommercio la previsione del disciplinare rischia di portare a «una cucina conformata».
«Migliorare la qualità della somministrazione non significa prendere in considerazione solo il prodotto e la materia prima - spiega Andrea Angelini, vicepresidente di Confcommercio Firenze – ma anche altri elementi, dalla gestione dell’accoglienza a quella degli spazi». «Le misure adottate con il disciplinare rischiano di penalizzare le attività di produzione e vendita di alimenti, anche di alta qualità», aggiunge Claudio Pistocchi, presidente Cna Firenze Unione Alimentare.
Il 70% di prodotti della filiera corta o Dop e Igp, secondo Pistocchi, è un tetto impossibile da rispettare: «Per la trasformazione di prodotti tradizionali – spiega - si utilizzano infatti anche materie prime di provenienza nazionale o estera. E così, per rispettare il disciplinare, molte produzioni tipiche toscane, dai prodotti dolciari agli insaccati, non potrebbero essere utilizzate. E si creerebbe anche una disparità commerciale con le attività esistenti, che potranno continuare a somministrare e vendere prodotti senza i vincoli dei nuovi».
Il tentativo di spingere la filiera corta avviato dal Comune di Firenze non è nuovo: era stato già avviato dalla Regione Toscana nel 2009, in occasione delle modifiche alla legge regionale sull’agriturismo. In quell’occasione si aprì alla possibilità che gli agriturismi somministrassero pasti, alimenti e bevande anche ai non-soggiornanti, e dunque ai clienti esterni, inserendo come “contropartita” l’obbligo dell’uso di «prodotti aziendali integrati da prodotti certificati toscani, e comunque da prodotti originati in Toscana». Un obbligo che, come spesso accade in Italia, è rimasto sulla carta, sprovvisto di controlli e di sanzioni.
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