Economia

Asse strategico Italia-Regno Unito

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Asse strategico Italia-Regno Unito

  • –Silvia Pieraccini

firenze

I rapporti economici tra Italia e Gran Bretagna sono antichi, vitali e profondi, e hanno potenzialità di crescere ancora soprattutto nei settori moda, meccanica, farmaceutica, agroalimentare e anche energia, Ict, e-commerce e servizi finanziari. Ma la crescita della cooperazione internazionale tra i due Paesi, che ieri è stata al centro del Forum Italy-Great Britain organizzato a Firenze dalla Camera di commercio italiana per il Regno Unito guidata da Leonardo Simonelli, ha bisogno di procedure veloci, regole chiare, interlocutori attenti, e magari anche di una tassazione incentivante, che non sempre in Italia gli investitori trovano.

Anche se qualcosa ora sta cambiando: «Negli ultimi cinque anni l’Italia si è mossa sul fronte delle riforme», ha detto l’ambasciatore inglese nel Belpaese, Christopher Prentice. «In Toscana negli ultimi tempi abbiamo trovato istituzioni attente e disponibili», ha aggiunto Massimo Messeri, presidente del Nuovo Pignone, l’azienda di turbine e compressori della multinazionale Ge (che ha trasferito il quartier generale della divisione Oil&Gas da Firenze a Londra) che sta continuando a puntare sull’Italia, «il posto giusto per investire al di là delle percezioni a volte sfavorevoli», ha aggiunto Messeri, rivendicando la necessità di avere però un progetto industriale chiaro.

Oggi la bilancia commerciale italo-britannica pende a favore dell’Italia: nel 2015 il Belpaese ha esportato nel Regno Unito beni e servizi per un valore di 22,5 miliardi di euro (pari al 5,4% dell’export totale), in crescita del 7,4% rispetto al 2014 (+3,8% verso il mondo); e ha importato 10,6 miliardi di euro (2,9% del totale), poco più dell'anno precedente (era 10,2 miliardi). Il saldo commerciale è dunque positivo per quasi 12 miliardi di euro (su 45,2 miliardi di saldo commerciale totale), e soprattutto ha segnato un’accelerazione forte negli ultimi quattro anni. I principali settori di esportazione sono autoveicoli, abbigliamento, macchinari, medicinali, vino e mobili. «Partiamo da questi 12 miliardi di surplus nella bilancia dei pagamenti – ha detto il presidente di Italian trade agency-Ice, Riccardo Monti – per puntare a una maggior presenza di investimenti diretti esteri e a un aumento dell’export verso la Gran Bretagna. Coscienti che in patria dobbiamo cambiare il nostro approccio verso gli investitori».

Nel periodo 2009-2015, secondo i dati della Camera di commercio italiana per il Regno Unito, i progetti di investimento realizzati da imprese tricolori in Uk sono stati 460 e hanno creato 9.750 posti di lavoro. Dall’altro lato, le imprese britanniche di tutte le dimensioni presenti in Italia oggi sono 1.300. Quel che preoccupa, nei rapporti di interscambio tra i due Paesi, è ora Brexit, ossia l’ipotesi che la Gran Bretagna voti l’uscita dall’Unione europea nel referendum fissato per il 23 giugno prossimo. «È un rischio che l’Italia farà di tutto per evitare – ha detto l’ambasciatore italiano in Gran Bretagna, Pasquale Terracciano – anche perché la presenza del Regno Unito serve a completare il mercato unico in settori cruciali come i servizi professionali collegati ai servizi finanziari, l’energia e l’ecommerce: l’uscita dall’Unione europea metterebbe a repentaglio queste priorità del Governo italiano». Una prospettiva che allontana Leonardo Simonelli, pronto a far vita a un road show sulla cooperazione Italia-Gran Bretagna in varie città italiane.

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