La Germania cambia paradigma e si avvia sulla strada del riequilibrio tra export e domanda interna, come da tempo, ma inutilmente, le chiedevano i partner dell’Unione europea. Più dei richiami di Bruxelles, però, al cambio di passo ha contribuito la crisi degli emergenti.
Le esportazioni, fino a poco tempo fa motore potente dell’economia, soffrono il rallentamento di alcune grandi economie, Cina in primo luogo, eppure Berlino resta in pista per mettere a segno anche quest’anno un aumento del Pil dell’1,7 per cento. Grazie ai consumi.
Lo sostiene il report-paese di Coface, il gruppo francese per l’assicurazione dei crediti alle imprese. «L’economia tedesca ha di recente cambiato il modello di crescita. Mentre la domanda interna (specialmente i consumi privati) è stata fiacca e debole per gran parte degli anni 2000, attualmente è diventata il principale elemento della crescita». E se nel 2015 la bilancia commerciale è stata neutrale sul prodotto interno lordo, nel 2016 si prevede che penalizzi la crescita a causa di una frenata delle esportazioni e dell’aumento dell’import.
«Le influenze esterne al momento hanno un impatto negativo - sostiene Mario Jung, economista Coface per la regione del Nord Europa - poiché la crescita dell’export destinato ai mercati emergenti sta calando ed è minore della domanda proveniente dalle economie avanzate». Le imprese tedesche prevedono, nel 2016, «un rallentamento in America Latina, Europa centrale e orientale, Russia, Turchia e Cina». Solo in parte compensato dal momento d’oro degli Stati Uniti che l’anno scorso hanno per la prima volta scavalcato la Francia come partner della Germania.
Il cambiamento in vista appare radicale, dopo un decennio di boom del commercio estero. Prima del 2002-2003, ricorda Coface, l’export aumentava del 2% annuo nella Germania considerata il “malato d’Europa”, afflitta da mancanza di competitività e crescita anemica. Le riforme fiscali e del mercato del lavoro costruirono il boom di metà anni Duemila e dal 2004 in poi l’incremento delle esportazioni verso i nuovi mercati è stato a doppia cifra: nel 2001 l’80% delle merci tedesche andava alle economie avanzate; nel 2013 questa quota era scesa del 10 per cento.
La tendenza si è invertita nel 2014 quando per la prima volta l’aumento del commercio verso gli emergenti è stato leggermente inferiore a quello diretto alle economie avanzate. Nonostante gli effetti positivi prodotti dall’euro meno forte. Le cause? «Conflitti politici, soprattutto in Russia e Medio Oriente, debolezza strutturale di molti paesi (Brasile in primis) e il crollo dei prezzi delle commodities». Fino al 2015, anno nero degli emergenti, quando le prospettive macroeconomiche per la Cina sono vistosamente peggiorate. Per la prima volta dal 1997, le esportazioni tedesche al gigante asiatico sono diminuite mentre dal 2001 al 2014 erano cresciute in media del 16 per cento. «Persino nel 2009 - si legge nel report - al culmine della crisi finanziaria, l’export verso la Cina aveva segnato un +10% ma nel 2015 la quota cinese del commercio estero è scesa di un punto al 6%, un dato che resta comunque quattro volte superiore al 2001 (quando era all’1,5%)».
La più grande economia dell’Eurozona ha due cuscinetti in grado di controbilanciare la sua esposizione al rischio Cina: uno esterno, l’altro interno. Sul primo fronte nel 2015 la caduta a Est è stata compensata dalle performance di Stati Uniti (+18,7%) e Regno Unito (+12,8). Risultato ottenuto grazie all’indebolimento dell’euro su dollaro e sterlina e alla robusta ripresa economica dei due paesi. Coface, peraltro, ritiene più verosimile lo scenario di un atterraggio graduale e non duro dell’economia cinese che nel 2016 potrebbe crescere del 6,2 per cento.
La Germania, comunque, potrà contare anche nel 2016 sul fronte interno, con una dinamica accentuata della domanda interna in grado di attenuare il colpo di un altro anno di export in rallentamento. In particolare la spesa delle famiglie, che tra il 2001 e il 2008 ha contributo alla crescita del Pil in media per 0,2 punti percentuali, è diventata la componente più importante l’anno scorso e nel 2016 il trend dovrebbe accentuarsi portando con sé anche un aumento delle importazioni. Il boom del mercato del lavoro, con l’occupazione ai massimi dalla riunificazione - 43 milioni gli occupati - continuerà e sosterrà la dinamica dei salari che dopo anni di stagnazione sono tornati a crescere a tassi elevati. Quest’anno potrebbe essere replicato il 3% del 2015.
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