Economia

L’industria chimica eccellenza di innovazione

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ferchimica compie 100 anni

L’industria chimica eccellenza di innovazione

Pochi lo sanno, ma due delle più grandi scoperte scientifiche del secolo scorso sono state partorite dalla chimica italiana. Il processo di sintesi dell’ammoniaca di Giacomo Fauser e il polipropilene che valse il premio Nobel del 1952 a Giulio Natta. Bene ha fatto il presidente di Federchimica Cesare Puccioni, ieri, a citarli nella sua relazione d’assemblea come esempi massimi di applicazione delle scoperte scientifiche nella vita di tutti i giorni. A partire dagli anni Venti, l’ammoniaca della Montecatini ha contribuito in maniera determinante a migliorare la salubrità degli ambienti.

Così come il Moplen, anch’esso sviluppato dalla Montecatini e nelle sue infinite applicazioni, divenne il principale strumento di accesso alla modernità delle famiglie più povere di un’Italia in pieno boom economico che anelava al benessere.

La Montecatini stessa, per tutto il Novecento, dalla sua nascita fino alla fusione con Edison nel 1966 e poi come Montedison, ha contribuito in maniera determinante alla modernizzazione dell’agricoltura e alla trasformazione di un Paese rurale come l’Italia nella quinta potenza economica mondiale. Tutti i maggiori fitofarmaci sono stati sviluppati da quell’impresa e dalle decine di altre che nacquero dalle sue spore feconde.

È un mondo finito, come sentiamo dire da una vulgata spesso superficiale? L’Italia ha perso la chimica?

Tutt’altro. Quello della chimica, certamente, è un mondo che si è trasformato, sicuramente evoluto. Dalla chimica di base per la quale oggi servono capitali, soprattutto, e strutture di ricerca che l’Italia possiede solo in parte, si è passati a una chimica di specialità che con molte multinazionali tascabili compete sui mercati e miete successi nel mondo. Il surplus della bilancia commerciale della chimica fine, tanto per dare un’idea di quello che succede nella realtà, nel 2015 ha raggiunto quasi 2,8 miliardi di euro. E la chimica, tutta, continua a fare da architrave a un made in Italy manifatturiero che attinge a piene mani nelle sue innovazioni per applicarle e farle diventare prodotti leader sui mercati globali. Dai nuovi tessuti della moda alle plastiche utilizzate dall’industria automobilistica, dai materiali innovativi che sono la chiave dei successi dell’arredo-design italiano agli additivi che consentono all’agroalimentare e al vino italiano di primeggiare, solo per fare alcuni esempi.

Altro aspetto che si tende a banalizzare o a distorcere - ogni volta che si annuncia un’operazione internazionale in Italia - è il rapporto tra i colossi multinazionali e il nostro territorio. Il termine più gentile adoperato è spoliazione. Come se i grandi laboratori e l’humus della ricerca fossero gadget trasferibili con uno schiocco di dita. Il patrimonio della ricerca, le basi di innovazione italiane, al contrario, sono spesso diventati il trampolino di lancio per le multinazionali. Basti dire che Solvay e Lyondell Basell, dai loro centri ricerche di Bollate e Ferrara, sono quasi ogni anno sul podio europeo per il deposito di brevetti. In questa ottica l’operazione Versalis è tutt’altro che una svendita o una sottrazione di patrimonio. È un’alleanza industrialmente basata in Italia finalizzata a fare più forte la chimica dell’Eni. Che, al contrario, da sola, sarebbe destinata a un inevitabile declino.

I fatti, i numeri e il tempo ci diranno chi ha ragione. Se la vulgata o la razionalità.

La chimica ha davanti ben più di altri cento anni per dimostrare di essere, come nel secolo appena passato, più di qualche passo avanti a tutto.

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