Economia

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modelli produttivi

La fusione tra Fiat e Chrysler diventa un caso da studiare all’università

La fusione tra Fiat e Chrysler diventa un modello. È un caso di multinazionale ben strutturata, considerata da manuale per gli studi di management. Perché, da un lato, Fiat ha voluto compiere un’integrazione effettiva dell’organizzazione del lavoro tra contesti diversi (Fiat e Chrysler) utilizzando lo stesso standard previsto dal modello Wcm (world class manifacturing), dall’altro ha usato la leva del confronto tra relazioni sindacali diverse per cercare di spingere a modificare le regole del negoziato sindacale in Italia.

Il modello World class manifacturing, diffuso anche in Chrysler, punta a controllare e ridurre i costi dei processi produttivi in maniera sistemica e con metodi riferibili ed oggettivi. Nel caso di Fiat e Chrysler si è trattata di una integrazione a monte, con investimenti iniziali su piattaforme comuni, con una integrazione produttiva spinta sia nei livelli interni che in quelli esterni (fornitura).

Ma l’integrazione dei soggetti aziendali da parte di Fiat è un archetipo innovativo per quanto riguarda soprattutto le relazioni sindacali di fabbrica nell’ottica di una gestione sempre più orientata al raggiungimento di obiettivi di produzione. Questo costituisce un cambiamento rilevante perché si supera la dialettica storica e conflittuale tra organizzazioni sindacali e imprese, con risultati positivi in termini di tutela dei lavoratori e di sviluppo delle economie territoriali intorno agli stabilimenti.

Il “caso” Fiat-Chrysler è al centro di un convegno che si sta svolgendo all’università Ca’ Foscari di Venezia, organizzato dal dipartimento universitario di Management, dal Center for Automotive & Mobility Innovation (CAMI) e dal Laboratorio Internazionale di Relazioni Industriali (Labirind), dal titolo «The Fiat-Chrysler case as the archetype of the new industrial relations in a global company?».

A oltre cinque anni dall’acquisizione di Chrysler da parte di Fiat studiosi ed esperti internazionali sono a Ca’ Foscari per un confronto sulle conseguenze di una manovra innovativa per l’automotive italiano.
Sull’aspetto sindacale e occupazionale va notato come Fiat abbia “preso spunto dalla sostanziale debolezza del sindacato americano, peraltro unitario a differenza di quello italiano, come strumento di pressione nelle relazioni sindacali italiane”, commenta Francesco Zirpoli, direttore scientifico del CAMI. «Fiat è infatti uscita dal sistema confindustriale - continua il professore - creando una struttura di relazioni sindacali del tutto autonoma, un modo innovativo, e al tempo stesso criticato, di regolare le relazioni industriali nella direzione, presente anche a livello europeo, del decentramento della contrattazione collettiva, con un previsto e conseguente aumento della produttività aziendale e del lavoro».

«In questi tempi, le scelte di Fiat appaiono naturali - dice il direttore del Dipartimento di Management e direttore scientifico di Labirind Gaetano Zilio Grandi -, come se non si potesse fare a meno di quello che si è fatto”. Il professore, valutando con attenzione gli effettivi risultati economico-finanziari e di occupazione del nuovo percorso intrapreso dalle imprese appartenenti al gruppo FCA (Fiat Chrysler Automobiles) e vede in questo caso “i germi di una possibile evoluzione della stessa struttura imprenditoriale e della sua relazione con i rappresentanti dei lavoratori: da conflittuale a collaborativa. Insomma un nuovo modo di porre la fondamentale questione del rapporto tra impresa e lavoro, in un contestonazionale e globale completamente cambiato».

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