Economia

«Troppa demagogia sulle trivelle»

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Industria

«Troppa demagogia sulle trivelle»

  • –Jacopo Giliberto

Il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, 54 anni, bolognese, non ha ancora deciso se voterà al referendum sulle trivelle in programma il 17 aprile. Ma, dice, «se voterò, voterò no». Cioè no alla chiusura delle piattaforme petrolifere.

Il quesito referendario riguarda la durata delle piattaforme petrolifere già attive in mare entro le 12 miglia dalla costa. Se vincerà il sì, alla scadenza delle concessioni le piattaforme verranno chiuse anche se i giacimenti saranno ancora pieni. Se vincerà il no o se non sarà raggiunto il quorum le compagnie petrolifere potranno chiedere di estrarre ancora metano e petrolio, se ve ne sarà ancora nei giacimenti.

Perché, ministro Galletti, è contro la chiusura delle piattaforme?

Trovo che questo referendum non abbia ragione. Il problema oggi, ricordo a tutti, non è quello di non estrarre petrolio ma di consumarne meno, di là dalla demagogia e dall’ipocrisia. Per inquinare meno bisogna consumare meno petrolio e meno gas, e in ciò l’impegno del Governo è fortissimo.

Lei ha appena detto: la posizione “no triv” è demagogia e ipocrisia. In che senso?

Non permetterò che il tema ambientale venga utilizzato in maniera demagogica da coloro che vogliono bloccare il processo riformatore del nostro Paese.

Cioè dietro il tema della difesa dell’ecologia spesso si nasconde il desiderio di non cambiare?

Il Paese oggi è spaccato in due. C’è chi vuole le riforme. E c’è chi invece si oppone a qualsiasi cambiamento. Questo Governo sta dimostrando per la prima volta che le riforme in Italia si possono fare: abbiamo fatto la riforma del lavoro, quella della scuola, fra qualche settimana approveremo in via definitiva la riforma costituzionale. E i risultati si vedono; in un contesto economico globale di grande incertezza l’Italia tiene, lo dicono i numeri. L’occupazione aumenta e la crescita economica per la prima volta dopo anni è positiva. Non ci fermeremo.

Declini ciò, ministro, nel campo dell’ambiente.

È possibile fare politiche ambientali corrette e proteggere l’ambiente promuovendo uno sviluppo sostenibile dell’economia. Lo vediamo nel mondo, come sta cambiando l’economia. In questi due anni l’abbiamo fatto anche noi.

Come?

Semplificando le norme, ma introducendo anche una normativa sugli ecoreati (meno regole ma più controlli e sanzioni più severe), l’abbiamo fatto investendo in ambiente (penso al dissesto idrogeologico, penso alla depurazione delle acque dove purtroppo abbiamo ancora un ritardo nell’applicazione delle normative europee nonostante gli sforzi, penso al settore dei rifiuti dove dalla nuova regolazione ci aspettiamo un efficientamento del sistema).

Uno dei motivi di opposizione all’uso dei giacimenti nazionali è rappresentato dalle emissioni, dall’effetto serra.

L’effetto serra non si combatte fermando le piattaforme in Italia ma consumando meno energia. Ricordo qualche numero sul lavoro in corso: abbiamo destinato 350 milioni alle Regioni per ammodernare i mezzi pubblici, 900 milioni sull’efficienza energetica degli edifici pubblici e privati, la proroga dell’ecobonus. Uscirà a giorni il bando di 35 milioni per la mobilità sostenibile dei Comuni.

È il programma che applica in Italia l’accordo sul clima raggiunto in dicembre a Parigi con la Cop21?

L’accordo di Parigi traccia un programma di marcia che punta alla decarbonizzazione del pianeta entro la fine del secolo con un timing stringente e non demagogico. Noi stiamo dentro il processo di Parigi. Abbiamo una produzione di energia rinnovabile altissima, buoni livelli di efficienza energetica e un progetto di mobilità sostenibile credibile. Abbiamo preso un impegno con l’Europa, un impegno vincolante e soggetto a sanzioni, per ridurre le nostre emissioni di CO2 di almeno il 40% entro il 2030 e credo che con le nostre politiche non avremo problemi a raggiungere l’obiettivo.

Restiamo sul tema delle emissioni di CO2 in relazione con l’uso dei giacimenti nazionali.

Mi stupisce che gli stessi che oggi sostengono il referendum contro le piattaforme siano gli stessi che definivano inutile l’accordo Cop21 di Parigi sulle emissioni. Dicono no sempre e comunque, tanto non devono mai rendere conto di nulla.

In Tunisia l’altra settimana un pozzo ha perso petrolio e ha inquinato un tratto di costa.

L’incidente sulla piattaforma tunisina, per fortuna di modesta entità, è esattamente la prova della demagogia e dell’egoismo delle posizioni no triv.

Egoismo? Opporsi alle piattaforme in Italia significa aumentare quelle in altri Paesi?

Certo. È una posizione egoistica perché chi dice no alle trivellazioni nei nostri mari continua a essere un consumatore di petrolio. Dire no al nostro metano e al nostro petrolio vuol dire che quel petrolio e quel gas lo andremo a importare da quei Paesi che hanno una sicurezza di estrazione molto minore della nostra, con rischi ambientali molto più elevati. Non esiste il nostro mare e il mare degli altri. Tutto il mare è di tutti. Ricordo che le nostre piattaforme sono le più sicure del mondo, mentre lo stesso non si può dire degli impianti sulle coste dell’Africa, zone soggette da anni a turbolenze politiche e militari che hanno proprio sul controllo della risorsa petrolio il loro terreno di scontro.

Contro l’uso dei giacimenti nazionali si sono schierati alcuni vescovi.

È un’antica storia che si ripete nel nostro Paese. C’è una cultura dell’estrema sinistra laica, salottiera e movimentista che ieri ,quando si parlava di stepchild adoption e di coppie di fatto, era scesa in piazza accusando i vescovi di ingerenza nella politica italiana e oggi cerca di appropriarsi della Cei e perfino dell’enciclica Laudato Si’ del Papa. Se si ha rispetto per la chiesa e del papa non si usano per le piccole beghe politiche di giornata. Da cattolico mi riconosco nelle parole di monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, che dice: non c’è un sì o un no da parte dei vescovi al referendum, ma il tema merita molta attenzione.

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