MILANO
Effetto domino sul sistema fieristico italiano. La liquidazione della Fiera di Genova e la difficoltà del quartiere di Cagliari riaccendono le luci su un settore in crisi profonda che nemmeno la ripresina del 2015 riesce ad arginare.
L’effetto domino è incalzante: la Fiera di Reggio Emilia è in concordato, quella di Roma lo ha richiesto, mentre hanno alzato bandiera bianca Brixia- Fiera di Brescia, la Fiera delle Marche e di Messina; in difficoltà anche la Fiera di Cesena che ha “prestato” il gioiello MacFrut a Rimini; il polo di Bari, in profondo rosso, sta tentando il rilancio con l’aiuto tecnico di Bologna, che, a sua volta, punta alla holding regionale per trovare le risorse (70 milioni) per ripartire. Conti in rosso anche per l’organizzatore Gl Events Italia che gestisce gli eventi di di Torino e Padova.
Secondo dati di Cermes Bocconi, le aree locate nelle manifestazioni fieristiche italiane sono scivolate di 1,5 milioni di mq dal picco del 2006 al dato parziale del 2015, gli espositori di 20mila unità mentre i visitatori si sono contratti di 3,5 milioni rispetto ai 13,5 milioni. Forse i dati definitivi dell’anno scorso potranno essere rivisti al rialzo ma il discorso non muterà sostanzialmente: la recessione «ha penalizzato in parte le manifestazioni internazionali - spiega Francesca Golfetto, docente dell’università Bocconi - mentre quei quartieri che contavano su eventi nazionali o regionali sono entrati in crisi». Anche perché in passato i soldi pubblici turavano le falle della gestione. In tempo di spending review è molto più difficile.
«Oggi i quartieri - dichiara Franco Bianchi, segretario generale di Cfi, agenzia di Confindustria per le fiere - non riescono più a sostenere gli ammortamenti come in passato. E chi non ha in portafoglio eventi internazionali soffre». Infatti le mostre di punta - come il Salone del mobile, Vinitaly, Bimu, Mido, Eicma, Cosmoprof, Cibus e diverse altre - riescono ad attrarre espositori e visitatori. E del resto è vero che i grandi organizzatori internazionali (senza quartieri) come Reed Exhibition o Gl Events rimangono campioni di crescita e di redditività.
Perché gli operatori italiani non tengono il passo con i tedeschi? «Perché si è puntato ad acquistare manifestazioni all’estero - risponde Golfetto - mentre servono competenze per accompagnare gli espositori all’estero, magari creando eventi negli eventi. E questo è un lavoro che i tedeschi hanno iniziato 30 anni fa». Alcuni quartieri italiani hanno ricapitalizzato o lo stanno per fare: è la strada giusta? «Non servono soldi per avere successo - ribadisce Golfetto - Servono le competenze giuste».
Le risorse invece servono, eccome. Non solo per fare shopping di manifestazioni ma anche per ammodernare il quartiere e spingere sul marketing internazionale. Oggi in Italia, tra i big, solo Milano, Parma e Rimini hanno ricapitalizzato e/o hanno riordinato il quartiere. Milano ha recentemente completato un aumento di capitale di 70 milioni, ha corretto la strategia, è più italocentrica e punta alla costruzione di filiere. Parma ha superato la monocultura di Cibus e Rimini ha allargato le specializzazioni. Verona, pur avendo sempre ottenuto buoni risultati di bilancio e ammodernato il polo espositivo, sta convincendo i soci a mettere mano al portafogli per finanziare un piano di sviluppo per Vinitaly e le altre manifestazioni. Si saprà entro giugno. La regione Emilia Romagna ha deciso che Bologna, dopo il cambio di presidenza, entrerà con Parma e Rimini in una holding regionale: il biglietto per ottenere diverse decine di milioni per rinnovare e ampliare un quartiere obsoleto: in caso contrario alcune manifestazioni di punta (come Eima) potrebbero tentare la fuga a Milano.
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