Economia

Il biomedicale sfida i player esteri

  • Abbonati
  • Accedi
Industria

Il biomedicale sfida i player esteri

  • –Ilaria Vesentini

BOLOGNA

Il boom dell’export messo a segno nel 2015 dal distretto biomedicale di Mirandola – +29,1% secondo il Monitor Intesa San Paolo – è la cartina di tornasole di un made in Italy che non teme rivali, neppure nelle tecnologie d’avanguardia, quando è organizzato in filiere territoriali dove la cross-fertilization tra imprese grandi e piccole, laboratori e istituzioni amplifica la potenza degli investimenti in ricerca, innovazione, formazione.

Lo racconta il balzo record del polo di Modena – culla europea dei dispositivi monouso per cure renali, dialisi, cardiochirurgia, 100 imprese, 5mila addetti, quasi un miliardo di fatturato – martoriato dal sisma nel 2012 e arrivato in tre anni a livelli di internazionalizzazione mai toccati prima. Lo conferma il recupero sui mercati esteri degli altri distretti italiani del biomedicale (dal +4,1% di Milano al +13,1% di Padova) e in generale dei cluster tecnologici del Paese (+5,9% l’export 2015 e +14,7% in Emilia-Romagna). E lo ribadiscono i costruttori italiani di tecnologie per il medicale riuniti a Bologna in occasione della sesta edizione di Pharmintech 2016.

«Il nostro settore, concentrato per il 70% lungo la via Emilia, è un fiore all’occhiello mondiale e continua a crescere grazie alla contaminazione tra chi fa macchinari e chi li utilizza», sottolinea Maurizio Marchesini, presidente di Confindustria Emilia-Romagna. I numeri delle macchine italiane per processing e packaging farmaceutico parlano da sè: 1,1 miliardi di fatturato per l’80% export, +10% nell’ultimo anno e un trend sopra il 5% atteso da qui al 2018. L’attenzione di buyer di tutte le razze davanti a macchine come la nuova comprimitrice Prexima di Ima negli stand Phamintech testimoniano l’eccellenza dei manufatti nostrani, per efficienza, facilità d’uso, sicurezza. «Qualità e innovazione creativa nascono dalla sinergia costante e reciproca tra il biopharma e la filiera tecnologica a monte fatta di grandi multinazionali come Ima e, attorno, di Pmi artigiane specializzate. Ci si fertilizza a vicenda, si collabora e si condividono conoscenze, ricerca e profili tecnici», spiega Sergio Dompé, presidente di Pharmintech, riferendosi al lavoro di squadra tra costruttori di impianti e industria farmaceutica italiana. Che come il biomedicale sta crescendo a ritmi inediti:+9% la produzione negli ultimi tre anni, quota export salita al 73% e investimenti in R&S aumentati di oltre il 15 per cento.

Se Emilia-Romagna sta staccando il resto del Paese è anche in virtù degli investimenti su infrastrutture di formazione e ricerca, dai 4 milioni per il tecnopolo di Mirandola inaugurato lo scorso anno ai 22 milioni appena stanziati dalla Regione tra borse di ricerca per 600 giovani e assegni a 3mila imprese (e 7mila addetti) per specializzarsi, internazionalizzarsi, digitalizzarsi. «Il know-how dei nostri distretti e le nostre competenze umane sono i driver competitivi che attirano gli investitori internazionali e sono la ragione dietro al fatto che nessuna delle multinazionali presenti a Mirandola abbia delocalizzato dopo il terremoto del 2012», commenta Palma Costi, assessore alle Attività produttive dell’Emilia-Romagna.

«Non ci sono eventi straordinari dietro allo straordinario exploit del 29% del nostro export – rimarca Alberto Bortoli, referente di Confindustria per il distretto di Mirandola – ma la forza strutturale di questo polo produttivo diventato riferimento mondiale proprio in virtù della presenza di multinazionali come Fresenius, Baxter, BBraun, Sorin, Medtronic. Stiamo raccogliendo i frutti di anni di investimenti in impianti e innovazione».

© RIPRODUZIONE RISERVATA