Ha un impatto su circa 3300 posti di lavoro tra diretti e indotto, tra Val D'Agri e raffineria Eni di Taranto, il fermo, in corso dal 31 marzo scorso, del Centro oli di Viggiano a seguito del sequestro senza facoltà d'uso deciso dalla magistratura di Potenza nell'ambito dell'inchiesta petroli. Un fermo che ora è destinato a prolungarsi, visto che ieri il Tribunale del Riesame di Potenza ha respinto l'istanza di dissequestro avanzata dall'Eni, che adesso ricorrerà in Corte di Cassazione, e intanto ha fermato e messo in stato di «piena sicurezza» l'impianto di Viggiano. L'accusa che ha portato al sequestro è che le acque reflue dell'estrazione petrolifera, certificate illecitamente come «non pericolose», sarebbero finite in due grandi vasche per poi essere smaltite con la riniezione nel sottosuolo con sostanze inquinanti.
Martedì in Basilicata i sindacati incontreranno l'Eni per un punto della situazione e per capire se il protrarsi della fermata del Centro oli, visto che presumibilmente la Cassazione non si pronuncerà in tempi immediati, ha o meno conseguenze occupazionali sui 2300 addetti tra diretti e indotto.
A Taranto, invece, dove arriva tutto il greggio estratto nella Val D'Agri, problemi per i mille addetti, di cui circa 450 diretti Eni, al momento non ce ne sono, ma la raffineria già da alcuni giorni si è dovuta attrezzare con soluzioni alternative per continuare la produzione riducendola però da 12mila a 10mila tonnellate al giorno.
Da Viggiano, via oleodotto, lo stesso che dovrebbe servire al trasporto a Taranto del greggio di Tempa Rossa, giungono ogni giorno alla raffineria circa 80mila barili. Il 60 per cento del volume di attività dello stabilimento che distribuisce benzina e gasolio a un'area molto vasta, che mette insieme Campania, Basilicata, Puglia e Calabria. Gli 80mila barili per il momento sono stati sostituiti dall'arrivo di due navi, che hanno scaricato il greggio, e dall'uso delle scorte. Sino alla scorsa settimana, era stato calcolato dai sindacati che con questa dotazione la raffineria di Taranto aveva circa 20 giorni di autonomia produttiva.
Ora è chiaro che protraendosi lo stop di Viggiano, la continuità di Taranto è legata solo all'arrivo di altre navi. A fronte della situazione determinatasi, i sindacati temono due aspetti: che la vicenda Eni possa ricalcare quanto già vissuto con l'Ilva di Taranto tra il 2012 e il 2013 (anche nel caso dell'acciaieria, infatti, ci fu il sequestro senza facoltà d'uso per inquinamento col seguito di ricorsi e controricorsi tra Tribunale del Riesame e Cassazione) e che l'approvvigionamento esterno di greggio, col riflesso che questo ha sui costi, possa indebolire ulteriormente Taranto, che per i sindacati è già un impianto in bilico, insieme a quello di Livorno. D'altra parte lo stesso ad dell'Eni, Claudio De Scalzi, parlando nei giorni scorsi alla Camera, ha detto che portare alla raffineria di Taranto il greggio da fuori significa avere un aumento di 4-5 dollari al barile.
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