Economia

Ventidue lavoratori rilanciano la storica Berti di Venezia

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Ventidue lavoratori rilanciano la storica Berti di Venezia

Un bottone premuto, il suono di sirena e un applauso: alla Berti di Tessera (Venezia), storica azienda di vetrocamera e serramenti dichiarata fallita a fine 2015, è ripartita la produzione. Non più una Srl, ma una cooperativa nata da 22 degli ex dipendenti, 13 dei quali già riassorbiti. È la quinta operazione di workers buy out in Veneto, supportata da Regione e Legacoop, in collaborazione con Filctem Cgil.

Solo fino a un anno fa alla Berti lavoravano in 46; dal 1. maggio 2015 non venivano versati gli stipendi, dall’11 agosto è scattata la cassa integrazione. E proprio in una assolata giornata di agosto, ricorda l’assessore al Lavoro Elena Donazzan, «questi lavoratori sono venuti a spiegarci che c’era, nonostante i problemi, una speranza, e ci hanno convinti a sostenere il loro progetto». È ancora in corso l’istruttoria che dovrebbe vedere la finanziaria Veneto Sviluppo entrare nel capitale, così come è accaduto con altre due cooperative ripartite da un fallimento.

Ma prima di tutto viene l’impegno dei lavoratori, «costretti per mesi senza stipendio, con il rischio di finire fra i molti invisibili che ogni giorno lottano per ritrovare un posto di lavoro», spiega il sindacalista Davide Stoppa. Invece hanno chiesto l’anticipo della loro indennità di mobilità, con la quale capitalizzare la società per circa 338mila euro: «Queste 22 persone si sono assunte un rischio in proprio - ha sottolineato il presidente del Veneto Luca Zaia, chiamato a riavviare la produzione - Una sfida imprenditoriale che è di tutti, in una terra dove l’80% delle imprese ha meno di 15 addetti». Il contratto definitivo con il curatore fallimentare è stato firmato il 24 marzo scorso. Coopfond, il fondo mutualistico di Legacoop, è intervenuto con altri 200mila euro di capitale sociale oltre ai 20mila euro per le spese di costituzione, mentre Cfi, investitore istituzionale delle Centrali cooperative e del ministero dello Sviluppo economico, ha deliberato una partecipazione come socio finanziatore con una quota di 50mila euro e un mutuo a 10 anni di altri 200mila. Complessivamente, la leva finaziaria è attualmente di 808mila euro, con 450mila euro di fidi bancari da parte degli istituti (Banca Etica e Intesa Sanpaolo) che hanno dimostrato di credere nel progetto. Ancora, UnipolSai ha garantito la copertura sul fronte delle fidejussioni e assicurazioni.

E poi ci sono i vecchi clienti, e i fornitori, che hanno confermato fiducia a una capacità produttiva frenata solo da problemi familiari e finanziari. «Questo è un successo di madri e padri di famiglia che hanno messo volontà e caparbietà nel salvare il loro posto di lavoro», ha detto il presidente della cooperativa Berti Attilio Pasqualetto. «Il nostro grazie al Tribunale di Venezia, che in pochi mesi ha fatto qualcosa di eccezionale consentendoci di partire. La Berti è rinata, abbiamo le prime commesse, se tutto andrà bene raggiungeremo entro fine giugno il traguardo di far rientrare altri soci».

Quello del workers buy out si sta affermando come un modello nei casi in cui una azienda fallita ha ancora capacità di stare sul mercato, know how, perfino ordini in portafoglio. Il modello veneto prevede una codifica delle tappe necessarie (anche burocratiche e procedurali), e una rete di partner a sostegno della startup cooperativa (bancari, assicurativi, finanziari); uno strumento di politica industriale e una risposta alla crisi che va oltre l’uso degli ammortizzatori sociali, da applicare in un settore trainante dell’economia territoriale come il manifatturiero.

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