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Dossier La partita decisiva dei mercati esteri

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    Dossier | N. 3 articoliRapporto Franchising

    La partita decisiva dei mercati esteri

    Il suo elemento di forza è proporre agli imprenditori un modello di business fondato sulla condivisione del rischio e al tempo stesso garantire ai consumatori l'uniformità dei prodotti, dei format commerciali e degli standard qualitativi legati a un determinato brand. Sono soprattutto questi gli aspetti che hanno consentito al sistema del franchising di tenere in Italia anche negli anni della crisi, mentre viceversa il commercio tradizionale subiva gravi perdite sotto i colpi di una contrazione dei consumi che ancora non sembra essersi del tutto risolta.

    In base al Rapporto Assofranchising del 2015, mettendo a confronto i dati dello scorso anno con quelli del 2009, risultano in crescita del 15,2% le insegne operative in Italia e del 4,9% il numero di addetti (circa 190mila nel 2015). Dopo il rallentamento del 2014, nel 2015 il fatturato ha registrato un +0,5% rispetto all'anno precedente, portando il settore a quota 23,3 miliardi di euro, quasi ai livelli del 2013, come spiega Italo Bussoli, presidente di Assofranchising.

    Sulle ragioni di questa vitalità, Bussoli non ha dubbi: «È un modello di autoimprenditorialità che ha dimostrato di funzionare bene anche nella crisi. Non è la soluzione di tutti i mali, ma una garanzia sia per i franchisor, gli affilianti, sia per i franchisee, gli affiliati». I vantaggi per entrambi i contraenti del contratto sono evidenti anche per Mario Resca, presidente di Confimprese: «Il franchising offre opportunità di collocamento per i giovani, ma anche per tanti manager 40-50enni rimasti senza lavoro a causa della crisi – spiega Resca –. Le loro competenze manageriali, soprattutto nel marketing e nella gestione dei servizi, sono proprio quelle ricercate dai franchisor». Che, a loro volta, trovano in questo modello la possibilità di ampliare più facilmente la rete dei propri punti di vendita. «Il franchising si fonda su un principio semplice – aggiunge Resca –, quello delle economie di scala, che ha dimostrato di funzionare sia in Italia, sia all'estero, ora che per le imprese si è aperta la partita decisiva dell'internazionalizzazione». Una partita nella quale potrebbe dare fondamentale sostegno una minore frammentarietà del sistema, che è composto da aziende di dimensioni ridotte rispetto ai competitori esteri e che conta diverse associazioni di categoria sul territorio nazionale.

    Pur lontano dalle cifre di Paesi come Stati Uniti, Germania o Francia, il sistema del franchising italiano ha tuttavia raggiunto ormai una fisionomia strutturata e competitiva. Sono 150 i franchisor italiani presenti all'estero (in 7mila punti vendita) e un centinaio i franchisor esteri attivi in Italia, secondo gli ultimi dati diffusi da Confimprese che, per il 2016, prevede l'apertura di 400 nuovi negozi all'estero da parte di brand italiani solo per quanto riguarda i suoi soci, con un aumento del 35% sul 2015. Tra i più attivi oltrefrontiera, come anche all'interno dei confini nazionali, i marchi dell'abbigliamento e del food, mentre tra i mercati esteri più importanti Resca cita Stati Uniti (mercato enorme ma molto competitivo) ed Europa, ma anche Arabia Saudita, Russia e Cina. A tentare l'avventura oltreconfine, inoltre, sono non più soltanto le catene note e consolidate, ma anche le aziende più piccole, quelle che in Italia contano solo una ventina di punti vendita.

    Anche le rilevazioni di Assofranchising confermano che il grado di internazionalizzazione dei franchisor italiani è in crescita. «Su un totale di 50mila punti vendita in franchising di brand italiani a fine 2015, oltre 8.100 erano all'estero – dice Italo Bussoli –, l'11% in più rispetto al 2014». Sicuramente la notorietà e la fiducia di cui godono i prodotti del made in Italy nel mondo è un motore di questo sviluppo. Ma, secondo Bussoli, il merito è anche della «fantasia e inventiva degli italiani, che hanno dimostrato in questi anni di saper fare franchising, tanto è vero che siamo attivi in circa 30 settori, quasi il doppio della Francia o della Germania». Nascono e si diffondono nuovi settori (come lo street food) e nuovi format che riflettono secondo Bussoli le capacità imprenditoriali dei franchisor e franchisee italiani. Tra i mercati principali indicati da Assofranchising l'Europa (in testa Francia, Germania e Regno Unito), l'area balcanica e le ex Repubbliche sovietiche, oltre al Medio ed Estremo Oriente.

    Le prospettive per il mercato mondiale del franchising sono comunque positive un po' in tutti i continenti, come spiega Graham Billings, presidente del World Franchise Council (l'associazione internazionale del settore, che raccoglie sigle di circa 40 Paesi), il cui meeting mondiale si tiene quest'anno proprio a Bologna, durante il nuovo salone dedicato al settore, “Franchising & Retail Expo” (organizzato da BolognaFiere in collaborazione con Assofranchising), che debutta domani.

    «Prevediamo per quest'anno una crescita globale – spiega Billings – con alcuni Paesi, come Filippine e India, che avranno incrementi a due cifre, ma anche mercati maturi come gli Stati Uniti che avranno ottime performance». Si registra inoltre un interesse crescente per il franchising in alcuni Paesi del Medio Oriente e dell'Africa.

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