Economia

Dossier Export: si riduce il legame con la Ue

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    Dossier | N. 5 articoliRapporto Meccanica & Automazione

    Export: si riduce il legame con la Ue

    In quindici anni il peso specifico dell'Unione europea a 28 – perimetro mantenuto costante dalle statistiche elaborate dall'Ufficio studi dell'Istat – sulle esportazioni della meccanica italiana si è ridotto di dieci punti percentuali. Nel 2000, infatti, su un valore in euro di 126 miliardi di prodotti della meccanica (dai macchinari ai metalli alle apparecchiature elettriche) destinati all'estero, la quota di export verso la Ue era al 63,7%. Nel 2015 il valore delle vendite oltreconfine è salito a 200 miliardi (il 58,3% in più) e la quota Ue si è assottigliata al 53,1% del totale.

    Una piccola rivoluzione, quella delle rotte dell'export. Piccola perché il “giardino di casa” (la Ue) continua a essere il mercato prevalente per le aziende italiane. Ma comunque significativa per le dinamiche che si porta dietro. Area di riferimento di queste nuove rotte è l'Asia. Guardando i dati 2015, se rispetto al 2014 l'incremento delle esportazioni meccaniche in questa parte del mondo è stato solo del 3,8%, il balzo rispetto al 2000 risulta invece impetuoso: +129,8%. Ben più dell'America settentrionale (+88%) o dell'Africa (+115%). Soprattutto è il valore assoluto delle vendite della meccanica made in Italy che la crescita percentuale dell'Asia si porta dietro a fare la differenza: l'anno scorso le esportazioni nell'area hanno toccato i 30,6 miliardi di euro, un terzo dell'export extra Ue del settore meccanico, più di tre volte il dato africano e dieci miliardi in più di quanto acquistato dall'America del Nord. Dietro a queste performance, però, non ci sono solo i soliti noti, vale a dire Cina, Turchia e India, in rigoroso ordine per valore dei contratti: 5,5 miliardi la prima (-10,1% nel 2015 sul 2014 a causa del rallentamento dell'economia di Pechino), 5,4 miliardi la seconda, 2,1 miliardi Nuova Delhi. I numeri poi sono tutt'altro che freddi e svelano curiosità interessanti. La Cina si differenzia dagli altri partner soprattutto perchè da Pechino importiamo un po' meno di tre volte di quanto esportiamo, con un deficit importante nella bilancia commerciale (circa 9 miliardi nel 2015). Negli altri due casi, invece, l'interscambio è vantaggioso.

    Ma, come si diceva, oltre a Cina, India e Turchia c'è di più. A cominciare dai Paesi del Golfo, che insieme - parliamo di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Oman, Bahrein, Kuwait - valgono 7,3 miliardi (circa 2 in più di Cina e Turchia) e nel 2015 sono cresciuti del 12,8% sul 2014 e del 254,2% sul 2000. E dietro l'angolo ci sono altri Paesi: Vietnam e Bangladesh, per esempio. Il valore assoluto è ancora piccolo, ma la crescita è travolgente: gli acquisti di meccanica da parte di Hanoi nel 2015 sono stati pari a 577 milioni: +93% sul 2014, +355% sul 2000. Quelli di Dhaka si sono fermati a 358 milioni: +56,3% sul 2014 e +512% sul 2000.

    Tra i comparti della meccanica quello delle macchine utensili riveste una posizione di primo piano per propensione all'internazionalizzazione. La conferma arriva da Luigi Galdabini, presidente di Ucimu-Sistemi per produrre (oltre 4,7 miliardi di fatturato di comparto, di cui circa il 65% generato oltreconfine): «Il nostro settore è da sempre votato all'export. Nel 2015 abbiamo esportato per 3,4 miliardi di euro. Numeri che ci collocano al terzo posto tra i Paesi esportatori». Accanto a sbocchi tradizionali – Stati Uniti, Germania e Francia – sono sempre più rilevanti «Paesi quali Cina, Russia e Polonia – dice Galdabini –. E, sebbene il valore assoluto sia ancora piuttosto basso, crescono le vendite di Made by Italians in Vietnam e Indonesia, così come cresce l'interesse per l'area Asean e per l'Iran che, con l'allentamento delle politiche restrittive, è un Paese ricco di opportunità di business».

    I “driver” dell'internazionalizzazione mutano rapidamente. L'Iran, citato da Galdabini, oggi acquista meccanica italiana per quasi un miliardo ed è affamato di infrastrutture e tecnologie.

    Presto potrebbero affacciarsi prepotentemente sullo scenario dei mercati mondiali altri Paesi: le “tigri asiatiche”, certo, in prospettiva – anche se Indonesia e Malesia, per la meccanica italiana, ancora oggi valgono “solo” 800 milioni di euro di vendite la prima e meno di 600 la seconda e in questi due Paesi lo scorso anno le nostre esportazioni hanno registrato un brusco calo (-13,5% e -29,3% rispettivamente) –, ma anche i già citati Bangladesh o Vietnam. Aree che stanno diventando la manifattura degli ex Paesi emergenti ormai affermati come Cina e Corea del Sud. E aziende italiane dinamiche sono presenti – dalle macchine utensili al meccanotessile – sulla scia delle multinazionali di Seoul o Pechino.

    È il caso della Pinter Caipo Technologies, gruppo biellese-catalano da 35 milioni di euro di fatturato, per il 95% generati dall'export. «Dopo la joint venture in India nel 2007 con il gruppo Lachmi – spiega Marilena Bolli, amministratore delegato dell'azienda meccanotessile – abbiamo appena siglato un'intesa in Cina con il gruppo Yuhua». Un investimento sul futuro, perché «entrare in Cina è molto complesso e i primi mercati per noi sono altri: Turchia, India, Corea del Sud, Bangladesh e Vietnam. È soprattutto in questi ultimi due Paesi – sottolinea Bolli – che i grandi gruppi cinesi e coreani stanno trasferendo molte produzioni per fronteggiare la crescita del costo del lavoro e del prezzo dell'energia».

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