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Le Marche cercano gli spin off del rilancio

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viaggio nell’italia che innova

Le Marche cercano gli spin off del rilancio

Reparto produttivo della marchigiana Elica (Imagoeconomica)
Reparto produttivo della marchigiana Elica (Imagoeconomica)

Crisi o non crisi, c’è un dato geo economico senza il quale ogni ragionamento sull’innovazione nelle Marche sarebbe tempo perso. Una delle più piccole e irraggiungibili regioni italiane, 1,5 milioni di abitanti, poco più degli abitanti di Milano (1,3 milioni) è costantemente in testa alle graduatorie europee per numero di occupati nelle aziende manifatturiere. Le Marche, nessuno si stupisca, rivaleggiano da pari a pari con il Baden-Wurttemberg, malgrado siano frantumate in cinque territori, un ponte tra la Romagna e l’Abruzzo, con una ricchezza di vocazioni industriali che sono la rappresentazione vivente di un territorio iperdinamico e con traiettorie a volte carsiche (sconosciute ai più sono la leadership nelle pentole antiaderenti e negli stampi industriali).

STRATEGIE PER AFFRONTATRE LA CRISI ECONOMICA
Risposte in percentuale. (Fonte: indagine Censis-Dondazione Merloni)

Le imprese riflettono questo ecosistema, con un aspetto originale che si lascia alle spalle le altre grandi regioni manifatturiere italiane, dal lombardo-veneto all’Emilia-Romagna: la fortissima propensione al rischio imprenditoriale di una genìa che fino al secondo dopoguerra era impegnata per la stragrande maggioranza nel lavoro dei campi. Metalmezzadri, certo, ma moltissimi divennero metalmeccanici senza aver mai vissuto lo status di mezzadri. Contadini, prima di tutto, con l’attaccamento viscerale alla terra e al lavoro. E poi terzisti, perché questo modello manifatturiero, ancor più che in Veneto, si è propagato sulla lavorazione conto terzi. Metalterzisti su larghissima scala, come dimostra l’internazionalizzazione della Elica di Francesco Casoli, attraverso Whirlpool unico fornitore worldwide di cappe per cucina del colosso Ikea, con stabilimenti in Messico, Cina e India. È il paradigma della marchigianità: si può essere grandi partendo da un luogo remoto, si può essere presenti su scala mondiale con prodotti maturi.

OBBIETTIVI DI INVESTIMENTO
Valori da 1 a 5. 1=non è un obbiettivo, 5= massima importanza. (Fonte: indagine Censis-Fondazione Merloni)

Non sono solo rose e fiori. Giorgio Calcaglini e Ilario Favaretto, economisti dell’università di Urbino, scorrono con i volti dei medici alle prese con una malattia seria i grafici sul campione di 3mila aziende artigiane, l’ossatura della manifattura marchigiana: «Dal 2009 la mortalità prende il sopravvento» sentenziano. A tamponare le falle ci ha pensato la coesione territoriale. Le radici municipali rappresentano il punto di forza e allo stesso tempo la grande vulnerabilità di un popolo che non rinuncerebbe per nessuna ragionale all’identificazione col gonfalone. Jesini, fabrianesi, urbinati e fermani sono appellativi di cui fregiarsi, come se a ogni paese e città corrispondesse il legame simbiotico che i senesi nutrono con la contrada di appartenenza.

PRINCIPALI FATTORI DI SUCCESSO DELL’AZIENDA SUI MERCATI ESTERI
Val. % sul totale di aziende che operano all’estero (Fonte: indagine Censis-Fondazione Merloni)

Un’articolazione policentrica con il cuore industriale a Fabriano, una città alla fine del mondo dove Aristide Merloni e Enrico Mattei misero in moto un motore il cui carburante non smette di bruciare. Sembrano ragionamenti novecenteschi, ma solo così si spiega la pulsione individualista di questi territori e la difficoltà enorme della politica regionale di governarne lo sviluppo. Esempio lampante gli atenei: con Camerino, Urbino e Macerata già sbocciati all’alba del 1500, mentre Ancona, il capoluogo non capoluogo, ha faticato non poco a creare un Politecnico come a Torino, Milano e Bari perché Architettura, che ovunque si affianca a Ingegneria, nelle Marche è migrata ad Ascoli Piceno per misteriosi equilibri sub regionali. Dunque, con un sotterfugio semantico, università Politecnica, al femminile, e non Politecnico.

Altro casus belli, l’aeroporto di Ancona, con oltre l’80% del pacchetto azionario nelle mani della Regione, una zavorra di debiti di 40 milioni e nessun collegamento con Linate o Bruxelles, «le due capitali economiche del nostro mondo» chiosa Fabio Biondi, jesino e inventore della Diatech, capofila del neonato distretto biotecnologico, uno dei campioni dell’innovazione marchigiana (si veda l’articolo in questa pagina). Invenzioni di genere a parte, è all’università Politecnica che bisogna arrampicarsi per misurare lo stato di salute dell’innovazione. Appollaiata su una torre che domina il porto di Ancona, il polo universitario assembla Ingegneria, Scienze e Agraria e vanta l’unico contamination lab del Centro Nord. Semplice e dirompente l’idea per una volta sinergica del Miur e del Mef (ministero della Ricerca scientifica e dell’Economia): perché non facciamo lavorare in squadra studenti e neolaureati in discipline diverse in modo da far dialogare mondo accademico e sistema socio-economico? Un modo intelligente per contrastare l’isolamento dei laureati superspecializzati, spesso intrappolati nel loro microcosmo.

GLI SPIN OFF DELL’UNIVERSITÀ POLITECNICA
Numero Spin-Off attivi e quote % (Fonte: Università Politecnica)


Il sacerdote dell’innovazione politecnica marchigiana è Donato Iacobucci, economista d’impresa migrato ad Ancona dall’università di Urbino. Come accade a Bari con il prorettore Vito Albino, Iacobucci è l’agitatore degli spin off e startup. Purtroppo per tantissime imprese il concetto di innovazione è rimasto quello precedente alla crisi del 2008: «Learning by doing, suggerimenti del fornitore o del cliente» scandisce Iacobucci. Forse è per questo che le Marche sono l’ultima regione del Centro Nord per investimenti in ricerca e sviluppo: 0,7% del Pil contro una media italiana, già bassa di suo, dell’1,4. La frustata del 2008 ha prodotto però dei cambiamenti: finalmente imprese e università hanno cominciato a lavorare come un sol uomo, tanto che la Politecnica incassa 5 milioni l’anno per le innovazioni applicate ai processi industriali o ai prodotti. Numerosissimi anche gli spin off, ormai a quota 45. Motivo di più per dirottare le poche risorse disponibili su programmi e obiettivi condivisi. Iacobucci non si fa soverchie illusioni, nonostante sia amico personale di Gianmario Spacca, dirigente della Fondazione Aristide Merloni e per due mandati governatore delle Regione Marche. Dice: «La programmazione dei fondi Por 2007-2014 fu un’occasione persa: proprio nel momento in cui la crisi infliggeva i colpi più pesanti, la Regione continuò a comportarsi come se nulla fosse accaduto». Un approccio che non è cambiato neppure per i fondi 2014-2020: a Spacca è succeduto l’ex sindaco di Pesaro, Luca Ceriscioli, ma l’economista dell’università Politecnica annota che le politiche non sono mutate: «Ci si ostina a finanziare i campionari dei calzaturifici, malgrado Bruxelles spinga per concentrare gli investimenti nella ricerca».

Sul piccolo mondo antico marchigiano è arrivata poi la deflagrazione di Banca Marche, che controllava quasi la metà del mercato finanziario regionale ed era nata dalla fusione delle casse di risparmio di Macerata, Jesi e Ancona. «O innovi o muori» dice senza un grammo di retorica Iacobucci, uno slogan per ribadire che imprese e atenei, da qui in avanti, saranno sulla stessa barricata.

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