Economia

Spalle larghe ed export le vie della crescita

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L'Analisi|l’analisi

Spalle larghe ed export le vie della crescita

Servono aziende più grandi, in grado di offrire i propri prodotti al mondo, partendo da un paese che deve accelerare gli investimenti in modernizzazione, a partire dalla banda larga.

L’analisi Istat relativa al sistema delle imprese contenuta nel rapporto annuale 2016 inizia con un messaggio netto: ad aver aumentato valore aggiunto e addetti durante la crisi sono state in prevalenza le aziende di maggiori dimensioni e quelle a quota maggiore di export. Il “mantra” di tavole rotonde e convegni trova così puntuale conferma nelle analisi quantitative, che traducono in numeri sensazioni diffuse: piccolo, ormai da tempo, non è più bello.

Il concetto chiave nel capitolo dedicato al sistema delle imprese è proprio questo: l’osservazione chiara di una progressiva divaricazione delle performance per classi dimensionali, che si innesta su una analoga diversa presenza sui mercati esteri.

Tra le aziende sopravvissute alla crisi 2010-2013 solo la metà è stata in grado di aumentare il valore aggiunto, quota che si riduce al 14,8% se si guarda all’aumento congiunto di output e occupazione. Una crisi pesante e profonda, dunque, che tuttavia non ha colpito il sistema in modo omogeneo.

La quota di microimprese (quelle fino a 9 addetti) con valore aggiunto e addetti in aumento è però solo del 13%, sale al 30% all’interno del cluster delle aziende medio-grandi.

Una capacità di crescita strettamente connessa alla presenza sui mercati internazionali: solo il cluster definito ad internazionalizzazione spinta, infatti, è stato in grado nel periodo di aumentare congiuntamente numero di addetti e valore aggiunto. All’estremo opposto sono le aziende “conservatrici”, quelle meno innovative, meno internazionalizzate e con ridotte relazioni interaziendali: per loro, non a caso, si riducono sia il valore aggiunto che l’occupazione.

In media, il ruolo delle imprese esportatrici nella creazione del valore aggiunto è aumentato tra 2010 e 2013 di cinque punti all’82%. E sul piano dimensionale, ancora una volta, sono le imprese medio-grandi a registrare i migliori risultati, con le performance più brillanti ad appannaggio di chi esporta oltre il 75% dei ricavi.

La caduta del mercato interno ha spinto un numero maggiore di imprese oltreconfine, scelta visibile nell’aumentato numero degli esportatori: da 189mila a 191mila. Un incremento legato soprattutto alle microimprese, che tuttavia nel periodo hanno offerto un contributo negativo all’export globale italiano, lievitato nel frattempo di 14 miliardi soprattutto grazie al contributo delle aziende con oltre 250 addetti, in grado di “spiegare” oltre la metà della crescita.

Le dimensioni aziendali, tuttavia, non rappresentano l’unico freno alla competitività del sistema. L’Istat misura ancora una volta un gap rilevante negli indicatori dell’economia della conoscenza, con ridotti investimenti in ricerca e sviluppo e scarsa capacità brevettuale rispetto ai concorrenti. Numeri che tuttavia mostrano solo alcune pagine di un racconto più ampio, dove l’esito finale è comunque una diffusione di attività innovative tra le imprese superiore alla media europa, segno evidente della vitalità del sistema.

Che in ogni caso trarrebbe ampi benefici colmando quello che viene identificato come uno dei gap più pesanti: il grado di connettività e digitalizzazione.

Oggi - come evidenziato dal Sole 24 Ore - solo il 14% dei comuni italiani è raggiunto dalla fibra ottica. Ma l’eventuale copertura totale della banda ultralarga porterebbe vantaggi evidenti in termini di aumento del valore aggiunto del sistema: il 23% in più nei servizi di mercato, l’11% nelle costruzioni, il 9% nel commercio e nell’industria in senso stretto.

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