Economia

Centralità dell’industria: la ricetta per tornare a crescere

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CONFINDUSTRIA

Centralità dell’industria: la ricetta per tornare a crescere

Giorgio Squinzi, quattro anni alla guida di Confindustria (Agf)
Giorgio Squinzi, quattro anni alla guida di Confindustria (Agf)

ROMA - Si è trovato di fronte una delle crisi più dure del Dopoguerra, con il Paese che ha dovuto fare i conti con un Pil negativo e molte imprese costrette a chiudere.

Una congiuntura difficile quella che ha dovuto fronteggiare Giorgio Squinzi nei quattro anni passati al vertice di Confindustria. È il maggio 2012 quando Squinzi diventa presidente, prendendo il posto di Emma Marcegaglia. È il primo chimico a ricoprire questo ruolo: la sua azienda, la Mapei, è leader negli adesivi e prodotti chimici per l’edilizia, presente in tutto il mondo.

La crescita è l’emergenza del Paese. Quella che Squinzi indica non solo come obiettivo, ma che considera addirittura «un’ossessione». Il Paese deve rimettersi in moto e il perno dello sviluppo è l’industria.

«Non c’è ripresa senza impresa», è uno degli slogan che Squinzi ha rilanciato ripetutamente, in pubblico e in privato, convinto sostenitore della centralità del manifatturiero. Un filo rosso che ha contraddistinto tutta la sua presidenza e che si evidenzia sin da subito. Nel suo primo discorso pubblico, il 24 maggio, aveva focalizzato quattro «urgenze assolute». La riforma della Pubblica amministrazione e la semplificazione normativa, il pagamento dei debiti della Pa, il taglio alla spesa pubblica per ridurre la pressione fiscale e rilanciare i consumi interni, il credito alle imprese. Oltre ad annunciare la riforma di Confindustria, per la quale è stata rapidamente istituita la commissione Pesenti.

Su questi traguardi si sono snodate le varie tappe della presidenza, partendo dalla considerazione, sottolineata in neretto nel testo della relazione del 2012, che «la bassa crescita dell’Italia è determinata soprattutto dalla difficoltà di fare impresa». Ecco quindi che alle quattro urgenze si aggiunge la necessità di relazioni industriali «per innovare», incentivando la contrattazione aziendale, e di una «nuova politica industriale».

Serve un progetto-Paese per reagire alla crisi. E in vista delle elezioni (febbraio 2013) Confindustria a gennaio presenta alle forze politiche un documento dal titolo “Progetto per l’Italia”, una road map di medio termine per il rilancio economico e sociale. Una vera e propria tabella di marcia fino al 2018, scadenza naturale della legislatura, un segno di responsabilità del mondo delle imprese verso il Paese. La crisi si sente, le aziende hanno bisogno di liquidità, ci sono (dati 2012) circa 90 miliardi di ritardati pagamenti da parte della Pa alle imprese. In questa battaglia Squinzi trova una sponda nel presidente della Repubblica, all’epoca Giorgio Napolitano. È lo stesso Squinzi a ricordare più volte l’incontro al Quirinale, a marzo del 2013. Il pressing di Confindustria è stato continuo: sono stati stanziati da allora più di 56,3 miliardi, ne sono stati erogati quasi 39. Ed anche sui tempi di pagamento la situazione è cambiata: non siamo ancora ai 60 giorni della direttiva europea, ma ci siamo avvicinati. Una boccata d’ossigeno cruciale per le aziende, che si unisce alle moratorie firmate con le banche e all’impegno a individuare, per le imprese, strumenti alternativi al credito bancario, a partire dai mini bond.

«La madre di tutte le riforme», è così che Squinzi ha definito dall’inizio la riforma della pubblica amministrazione. «Dateci un Paese normale», è un altro dei suoi appelli: regole chiare, semplici, in linea con gli altri Paesi europei, senza quella «manina anti-impresa» che ostacola la crescita. Ed è stata accolta con soddisfazione la riforma Madia, tassello di un lungo percorso che dovrebbe portare il Paese a cambiare pelle.

In un Paese normale, anche le relazioni industriali devono stare al passo con i tempi. Ed è su questo fronte che Squinzi ha avviato subito un dialogo con il sindacato, che ha portato il 31 maggio del 2013, ad un accordo definito da tutti storico sulla rappresentanza sindacale, atteso da oltre 60 anni.

Un tassello al quale si è aggiunto dopo un anno, a dicembre 2014, il via libera da parte del Parlamento al Jobs act: un nuovo mercato del lavoro che recepisce l’impostazione di Confindustria di rendere più vantaggioso il contratto a tempo indeterminato, grazie anche a sgravi contributivi, e che supera l’articolo 18. Un rimpianto, sulle relazioni industriali, Squinzi ce l’ha e l’ha espresso pubblicamente: non essere riuscito a firmare con il sindacato le nuove regole sulla contrattazione, dando maggiore spazio al livello aziendale. «Lascio a Boccia il compito non semplice del confronto che dovrà portare fuori dalle liturgie del secolo scorso», sono state la parole di Squinzi, concludendo ad aprile il convegno biennale del Centro studi.

Servono le riforme. Burocrazia, fisco, quelle istituzionali. Su questi tasti Squinzi ha insistito quasi quotidianamente, un impegno messo anche in casa propria, nella confederazione, con l’attuazione della riforma Pesenti, varata con un’assemblea straordinaria a giugno del 2014, che ha disegnato un’organizzazione più snella, più efficace e meno costosa.

Lo stesso impegno che occorre al Paese, come si evince dal documento sulle riforme istituzionali che la Confindustria di Squinzi ha messo a punto due anni fa, e che ha sottoposto alle forze politiche. Tra le battaglie di semplificazione, anche quella sul fisco, con un pressing continuo sulla delega fiscale. Tutti tasselli di un nuovo progetto-Paese, così come ricerca e innovazione sono ingredienti fondamentali di quella politica industriale che Squinzi ha sempre chiesto con insistenza, battendosi per ottenere un credito di imposta automatico per le imprese, come strumento più adatto a stimolare gli investimenti sul capitolo R&I.

Grande attenzione dentro i confini, ma altrettanta anche fuori. Per l’internazionalizzazione del sistema imprenditoriale, con le ripetute missioni all’estero, e nei confronti di Bruxelles. Il sogno di Squinzi, che si è sempre professato europeista convinto, sono gli Stati Uniti d’Europa. E sono stati continui i suoi appelli a proseguire sulla strada della costruzione europea, per arginare populismi e nazionalismi.

Quest’anno l’assemblea torna a Roma, come consuetudine. Nel 2015 si è tenuta all’Expo, un progetto che Confindustria ha sostenuto sin dall’inizio: secondo Squinzi «un’occasione irripetibile per l’Italia», l’avvio della ripresa del Paese. E per la prima volta con la mostra sull’alimentazione industriale sostenibile, “FabFood, la Fabbrica del gusto italiano” Confindustria si è aperta alla società civile. Con una risposta forte, più di mezzo milione di visitatori.

Un’attenzione al sociale, ai valori di etica e sostenibilità che esprime l’impresa, rilanciati il 27 febbraio di quest’anno, con lo storico Giubileo dell’industria: 7mila imprenditori nella Sala Nervi in Vaticano, per ascoltare le parole del Santo Padre e offrire la propria testimonianza – questo è il messaggio che è stato dato – di un modo di essere imprenditori e fare impresa che significa collaborare, avendo a cuore i valori del costruire e non dello speculare.

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