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In Umbria l’innovazione “nascosta” guarda…

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viaggio nell’italia che innova

In Umbria l’innovazione “nascosta” guarda all’eredità di Natta

(Agf Creative)
(Agf Creative)

L’Umbria è un viaggio nel tempo che ti scaraventa nel passato e nel futuro, un concentrato di arcaico e contemporaneo, il caleidoscopio che riflette tanti piccoli frammenti dell’italianità, con le sue miserie politiche e le sue sorprendenti intuizioni imprenditoriali. È una regione bonsai, con nemmeno 900mila abitanti, retta da una élite incollata al potere da oltre sessant’anni. Il contrario del principio di alternanza, del ricambio, di democrazia. Per ragioni strutturali e di consenso politico la stessa élite ha alimentato la cultura del posto pubblico, moltiplicando a dismisura la distorsione del rapporto tra spesa pubblica e abitanti.

Università, ospedali, Asl, Regione e Province potevano apparire talmente soverchianti da cancellare qualsiasi pulsione imprenditoriale. Il resto lo ha fatto il terremoto del ’97. «Ci vorrebbe una scossa ogni dieci anni, le stalle so’ diventate ville» dicono i contadini che rimpiangono quindici anni di edilizia sfrenata e i fondi generosi per la ricostruzione. Come se il napalm del denaro pubblico avesse bruciato la propensione all’intrapresa. È accaduto invece esattamente l’opposto. E da Terni a Perugia, passando per Narni e Foligno, è tutto un fiorire di iniziative imprenditoriali, alcune delle quali insediate in quelli che furono i simboli della chimica umbra.

L’ITALIA CHE INNOVA
Quota di imprese innovative e spese per innovazione nelle regioni che investono di più (anno 2012)

Sembra una questione psicoanalitica, la necessità di riannodare i fili con un passato carico di gloria: nella fabbrica della Montecatini di Terni, dove oggi ci sono parecchi incubatori di startup, Giulio Natta scoprì la molecola del polipropilene che gli valse il premio Nobel per la chimica nel ’63, unico italiano finora insignito del riconoscimento in questa materia. Le amnesie possono giocare brutti scherzi. Gli umbri, così scrupolosi nel celebrare i loro santi (Terni è la “città di San Valentino”), omettono invece di ricordare il campione della ricerca chimica. Forse è per questo che l’innovazione si fa in luoghi protetti, mimetizzati da grandi ciminiere fordiste e cancelli massicci di ferro, sempre lontani dal centro storico. La Italeaf si riconosce per la ciminiera a strisce rosse e bianche della vecchia Enichem che svetta in una valle di Narni. Qui una volta si producevano fertilizzanti. Un’attività che in qualche modo continua anche oggi. Solo che il modo di fertilizzare è cambiato. Stefano Neri, un avvocato amministrativista e docente a Ingegneria, mette insieme un gruppo di imprenditori disposti a investire nel fotovoltaico.

All’inizio s’installano grandi impianti – non gli specchi ma la struttura di supporto – per Terna e Enel. Poi, dopo la quotazione a Piazza Affari e al Nasdaq di Stoccolma (dove gli americani di Wall Street contendono alla City e a Milano la leadership finanziaria europea) le attività si allargano (biodigestione della frazione umida e smaltimento dei pneumatici a fine vita, una delle poche aziende italiane che ricavano acciaio e gomme da questo processo). Nel 2011 Terni Energia fa il botto in borsa: record di capitalizzazione. Incassato un successo, la mission si sposta sulla costruzione di nuove aziende. Italeaf, insomma, va a caccia di nuove idee e imprenditori nella green innovation.

«Non chiamatele startup – dice senza esitazioni Federico Zacaglioni – ma piccole public company in cui investiamo fino a un milione di euro». Finora sono state valutate un centinaio di idee. Quattro hanno superato l’esame e si preparano a esordire: si va dalla produzione di polveri metalliche per le stampanti 3D ai led per fabbriche come quelle siderurgiche dove la temperatura interna supera i 50 gradi o i droni hi-tech sotto i 25 chilogrammi. «Soldi pubblici? Neanche un centesimo. Il sentimento sta cambiando» assicura Zacaglioni. E la stessa impressione che si ricava risalendo la rocca perugina dalla quale l’ateneo domina mezza Umbria. Loris Nadotti, professore a Ingegneria e delegato del Rettore per l’innovazione, snocciola un elenco di 42 spin off universitarie, «Il 4 % del totale italiano malgrado l’Umbria abbia il 2% della popolazione» ci tiene a precisare Nadotti.

Tra le idee più brillanti quella della Ubt, macchine per la mammografia non invasive e prive di emissioni di raggi gamma o la Prolabin & Tefarm che sforna nuovi materiali e composti chimici che mescolandosi con altri prodotti rendono ignifughi i cavi elettrici. I soldi? Nadotti è netto: «L’unica cosa che non manca sono i quattrini. Il mondo è pieno di finanziatori». La spin off che rivaleggia a viso aperto con le grandi biotech americane è quello del farmacologo Roberto Pellicciari. La sua Tes, che in etrusco significa vita, confeziona proteine senza le quali le aziende farmaceutiche potrebbe cambiare mestiere (si veda l’articolo in questa pagina). Nella regione bonsai, dove nelle segrete stanze si combatte la lotta per la successione a Catiuscia Marini tra Mauro Agostini, ex plurideputato, tesoriere dei Ds e direttore di Sviluppo Umbria, e Gianpiero Bocci, ex Margherita e sottosegretario agli Interni, sgorgano imprese innovative come i cantici francescani. Nella fabbrica della vecchia Montecatini, tra boiserie e tavoli massicci di noce sopravvissuti all’epoca di Giulio Natta, Marco Mazzalupi, un trentatreenne umbro con quattro figli e una barba da frate minore, con la sua Neofil (filo di polipropilene) vuole replicare la stagione dei primi anni ’60, quando Terni era una delle nuove frontiere italiane dell’innovazione.

Il nome dell’azienda (Neofil era la vecchia unione tra Montecatini ed Hercules), l’opificio, i mobili, le foto appese alle pareti di legno e persino le parole d’ordine riproducono il clima che portò Montecatini sulla vetta più alta della chimica mondiale. «A quei tempi tra queste stanze lavoravano 450 ricercatori» dice Mazzalupi. Poi il declino, che si è protratto fino al 2013, quando quel che sopravviveva dei fasti di cinquant’anni fa finisce in amministrazione straordinaria. Mazzalupi rileva sette ettari di un’area industriale dieci volte più grande e quando scopre che di 2,5 ettari non sa che farsene gli viene in mente solo una cosa. Così lancia lo scouting per selezionare quattro nuovi imprenditori: si va dalla produzione di moquette con filo di polipropilene riciclabile al 100% alla produzione di cheratina per l’industria cosmetica ricavata dagli scarti degli animali. L’imprenditore ternano confessa che tornare a fare chimica nei luoghi di Giulio Natta è stato “un fioretto”. La sua barba crescerà a dismisura, come usavano i monaci medievali, fino a quando piccole e grandi iniziative imprenditoriali non saranno coronate dal successo: fratello sole, sorella innovazione.

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