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Tech e digitale? No, grazie: così la manifattura italiana «perde» quasi 9 miliardi l'anno

(Olycom)
(Olycom)

Non si vedono, si conoscono poco e si finanziano ancora meno. Ma potrebbero valere quasi 9 miliardi di euro in più all'anno per l'industria italiana. Secondo un'analisi della società di consulenza Prometeia, l'integrazione di tecnologie 3D e robotica nelle aziende del manifatturiero italiano porterebbe a un incremento di 8,6 miliardi di euro nel valore della produzione e di 4,3 miliardi di euro nel valore aggiunto. Un rialzo dell'1,5% che equivale, di fatto, a un raddoppio rispetto alla previsione di aumento di fatturato dell'1,8% tra 2018-2020 diffusa dalla stessa Prometeia e Intesa Sanpaolo in occasione dell'ultimo Rapporto analisi dei settori industriali. «E qui parliamo solo delle innovazioni “hardware”, solide. Se includessimo anche e-commerce e digitale nel suo complesso, la cifra potrebbe crescere ancora» spiega Alessandra Lanza, partner di Prometeia.

Tutti i ritardi italiani sull'industria digitale

Peccato che, per ora, l'innovazione resti al palo. Come ha scritto anche ieri il Sole 24 Ore, il sistema italiano è indietro sulla tabella di marcia europea nella costituzione di un proprio piano per la cosiddetta industry 4.0, la quarta rivoluzione industriale che trasforma e digitalizza i processi produttivi. Ma quanto è grave il ritardo? Per farsene un'idea, basta dare un occhio al rapporto tra lo stato di avanzamento medio delle industrie del manifatturiero italiano rispetto alla concorrenza su scala Ue. Nel dettaglio: l'Italia è 25ma (su 28) in Europa nel ranking della Commissione europea per la digitalizzazione dell'economia, “vanta” una delle spese private più basse in R&S a livello europeo (1%, contro il 2,1% della Francia e il 2,6% della Germania) e registra, per il 58% delle sue imprese, un grado ancora «limitato» nei processi di digitalizzazione e automazione dei meccanismi produttivi. Il gap si allarga anche sul piano della commercializzazione, visto lo scarto nell'uso di e-commerce che ci separa dal resto del Continente:

secondo elaborazioni Prometeia su dati del Politecnico di Milano, appena l'8% delle imprese italiane vende suoi prodotti sul web contro il 15% della Francia, il 18% della Spagna, il 22% del Regno Unito e il 25% della Germania.

Il “mix esplosivo” che frena l'innovazione
Una delle tesi più diffuse è che l'industria italiana paghi la dimensione medio-piccola delle sue imprese, ancora inadatte al salto nei nuovi cicli della produzione digitale. Lanza (Prometeia) non nega il problema, ma invita a considerare un altro limite: «C'è il problema delle dimensioni aziendali, ma non è l'unico – dice - Io considererei anche l'assenza di grandi imprese capofila che favoriscano il trasferimento tecnologico sulle altre e la mancanza di un coordinamento con i centri universitari che si occupano di ricerca nel settore».

OBIETTIVO EUROPA 2020: 3%
In % del Pil (Fonte: Prometeia)

Secondo Lanza, l'inesistenza di una policy definita fa sì che si inneschi un «mix esplosivo» per una crescita effettiva. Da un lato gli handicap più generali, come cuneo fiscale e zavorre burocratiche. Dall'altro, uno stallo che si rispecchia su almeno tre fronti: ricambio generazionale, formazione e stipendi. Nel manifatturiero italiano il 21,6% degli imprenditori è over 64, più del doppio rispetto al 9,1% della Germania. La quota di laureati supera a fatica il 20% tra gli occupati generali del 2015 e il 25% tra manager e dirigenti, contro le medie del 52% in Germania, del 53% nel Regno Unito, del 61% in Spagna e del 72% in Francia. Infine, il paradosso di un mismatch alla rovescia: i talenti dell'area tecnico-ingegneristica ci sono, ma gli stipendi viaggiano su livelli così bassi da rendere più appetibili quasi tutte le offerte in arrivo da oltre il confine. «Non è un caso che la Germania stia facendo “shopping” di nostri ingegneri – dice Lanza -. Le aziende arrivano qui, trovano laureati di buon livello e li attraggono con retribuzioni all'altezza delle attese. Dovrebbero farlo le nostre aziende».

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