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Macchinari e chimica a rischio Brexit

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Macchinari e chimica a rischio Brexit

(Reuters)
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A chi fa paura la Brexit? Non alle imprese italiane: «Scommetto che alla fine il referendum in Gran Bretagna lo vince chi vuole rimanere nella Ue», sostiene Alfredo Valerio, country manager di Plastica Alto Sele, azienda del salernitano con 35 dipendenti e quasi 14 milioni di fatturato che produce arredamento in plastica da giardino. Il 70% della sua produzione viene esportato: il primo mercato di sbocco è la Francia, ma il 5% del giro d’affari aziendale arriva dalle vendite in Gran Bretagna.

Neanche a farlo apposta, la Plastica Alto Sele è l’esempio perfetto delle relazioni commerciali che legano il nostro Paese al Regno Unito: 5%, infatti, è anche il peso di Londra sul totale delle esportazioni italiane nel mondo. L’anno scorso le nostre imprese hanno venduto Oltremanica beni e servizi per circa 22,5 miliardi di euro, il 7,4% in più rispetto all’anno precedente.

I SETTORI ITALIANI PIÙ COLPITI
In miliardi di euro (Fonte: Euler Hermes)

Eppure, ci sono studi che non si dicono ottimisti tanto quanto la Plastica Alto Sele. Euler Hermes, la società di assicurazioni del credito all’estero del gruppo Allianz, ha calcolato l’impatto della Brexit sull’export italiano. E qualche perdita, in caso di uscita di Londra dalla Ue, ci sarebbe: nella peggiore delle ipotesi, fino a 1,9 miliardi di euro in tre anni, per il periodo 2017-2019, di cui 1,6 miliardi nell’export di beni e 300 milioni in quello dei servizi.

Tanti? Dipende dai punti di vista. In due anni di sanzioni europee alla Russia, il made in Italy ci ha rimesso 3,6 miliardi di mancato export verso Mosca. Praticamente il doppio. Di certo, in caso di Brexit, al nostro Paese andrà sicuramente meglio che alla Germania, che secondo i calcoli di Euler Hermes arriverebbe a perdere oltre 6,8 miliardi di export in tre anni. Sul carro dei più penalizzati in Europa il posto d’onore andrebbe all’Olanda, economia fortemente interconnessa a quella inglese soprattutto sul fronte dei servizi finanziari, che potrebbe contare perdite fino a 3,6 miliardi di euro in tre anni; accuserebbero il colpo anche il Belgio con 2,8 miliardi di mancato export e la Francia con 2,4 miliardi. Tutti peggio di noi. Tirando le somme, in caso di Brexit in tre anni i Paesi Ue potrebbero arrivare a perdere tra i 15 e i 20 miliardi in export di beni e fra i 2 e i 3,5 miliardi in export di servizi.

IL CONFRONTO
Le possibili perdite di export per il biennio 2017-2019 in caso di Brexit - miliardi di euro (Fonte: Euler Hermes)

Le ragioni di questo calo delle importazioni da parte della Gran Bretagna sarebbero due: la prima è la diminuzione della crescita del Pil cui potrebbe andare incontro Londra (secondo Euler Hermes, l’economia inglese potrebbe lasciare sul campo fino a 1.500 imprese che non ce la fanno); la seconda è la svalutazione della sterlina, che potrebbe arrivare a perdere anche il 20 per cento.

Alfredo Valerio, però, resta ottimista: «Se non altro, l’uscita di Londra dall’Unione europea non ci metterebbe di fronte a nuovi concorrenti: nel nostro settore i principali competitor sono europei, quindi ci troveremmo tutti ad affrontare la medesima situazione».

Qualcosa, però, per la Plastica Alto Sele potrebbe in effetti cambiare: «Oggi vendiamo alla grande distribuzione inglese, come Argos e Kingfisher, attraverso un unico distributore che ha sede in Irlanda. Oggi Irlanda e Regno Unito sono praticamente un unico mercato. Un domani, dovesse veramente arrivare la Brexit, per ragioni di semplicità contrattuale potremmo essere costretti a cercare un distributore direttamente in Gran Bretagna».

In caso di uscita di Londra, i settori dell’export italiani più a rischio di conseguenze sarebbero i macchinari e la chimica: «Tra il 2017 e il 2019 - spiega Ana Boata, economista europea di Euler Hermes - le vendite di macchinari italiani alla Gran Bretagna potrebbero arrivare a perdere 300 milioni di euro, così come i prodotti chimici. I comparti dell’auto, del tessile e dell’agricoltura, invece, potrebbero perdere fino a 200 milioni ciascuno». L’Italia non sarebbe colpita solo nell’export, ma anche negli investimenti esteri: «Il mancato afflusso di capitali inglesi potrebbe raggiungere i 600 milioni di euro - aggiunge Boata -: oggi il Regno Unito in Italia investe soprattutto nel retail, nel comparto agroalimentare e nei servizi finanziari».

La chimica, dunque, sarebbe tra i settori più colpiti. Eppure Raffaele Petrone, presidente e ad del provider farmaceutico Pierrel, rimane ottimista: «Mi aspetto che le imprese più colpite saranno quelle del segmento finanziario, non quelle del mio settore». Per la Pierrel, che sviluppa prodotti per la farmaceutica, il primo mercato internazionale di sbocco è quello tedesco, ma la Gran Bretagna rappresenta pur sempre una quota rilevante dell’export, più o meno il 20 per cento. «Certo, se la sterlina si svaluta per colpa della Brexit, può darsi anche che esporteremo di meno - ammette Petrone -, ma è anche vero che noi dalla Gran Bretagna importiamo anche diversi prodotti, quindi potremmo compensare le perdite».

Nel complesso Petrone si sente al sicuro: «L’ipotesi più probabile è che Londra, dovesse mai uscire dalla Ue, negozierà un accordo di libero scambio sul modello dell’Efta. E i costi maggiori per via della dogana sarebbero di pochissimo peso». I prezzi vanno al metro cubo, e un metro cubo di farmaci vale centinaia di migliaia di euro: «Cosa vuole che siano 150 euro di dogana distribuiti su un valore simile?».

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