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Parma lancia l’università internazionale del food

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Parma lancia l’università internazionale del food

(Olycom)
(Olycom)

Mettere assieme cervelli e passioni della comunità e incanalarli in pochi progetti concreti di rilancio del territorio di Parma, partendo dagli asset strategici della città, da poco riconosciuta capitale creativa Unesco della gastronomia. A questo mira l’iniziativa annunciata lo scorso 8 marzo al Teatro Regio dai tre big industriali e internazionali del territorio, Barilla, Chiesi e Dallara (supportati dalla Fondazione CariParma). Iniziativa che ora è partita operativamente lanciando date e organizzazione dei quattro laboratori tematici –cibo, cultura, turismo e formazione/innovazione – da cui dovrebbero uscire le prime proposte realizzabili di progresso economico e sociale della città. A partire dall’idea di fare dell’Università di Parma l’hub mondiale della formazione sul food, coagulando così in un unico progetto tutti e quattro i driver individuati per lo sviluppo locale.

La notizia di partecipazione attiva della cittadinanza nella costruzione attiva del proprio futuro di per sé passerebbe inosservata, perché è un cavallo di battaglia di molti sindaci sulla via Emilia e non solo (non ultimo Merola che nel programma elettorale 2016-2021 ha lanciato addirittura un “ufficio di immaginazione civica permanente”), se non fosse che dietro c’è un atto di responsabilità sociale dei privati, di tre marchi del made in Italy di fama mondiale che assieme fatturato 5 miliardi di euro e hanno preso coscienza della debolezza dell’essere leader solitari: non bastano tre o quattro campioni per far vincere la squadra, soprattutto se la squadra è fatta di 447mila individui diversi e 37mila imprese che in questa squadra non si riconoscono, dopo le troppe sconfitte subite. Dal crac Parmalat a quello della storica squadra di calcio, dallo scippo della stazione Alta velocità a vantaggio di Reggio Emilia al semi-fallimento dell’aeroporto, passando dallo scioglimento per corruzione di tutta l’amministrazione cittadina, che nel 2012 portò al timone i grillini di Pizzarotti.

Il modello tedesco torna a fare da benchmark non solo economico ma anche sociale e culturale, nella food & motor valley: è il sistema coeso che vince, non il solista eccellente; sono giocatori mediamente bravi che condividono identità e strategia di gioco ad avere la meglio sui fuoriclasse che corrono soli senza compagni a supportarli. Eppure l’economia di Parma ha fin qui retto, grazie ai fuoriclasse, nonostante non sia più in cima alle classifiche italiane per qualità di vita: la disoccupazione viaggia al di sotto del 7%, la provincia è al 7° posto in Italia per Pil procapite (31mila euro), la manifattura pesa il 28% del valore aggiunto (e la quasi totalità dei 5 miliardi di export provinciale) ovvero dieci punti sopra la media nazionale.

«Possiamo fare e ambire a molto di più», è il messaggio dietro al progetto “Parma, io ci sto!”. Che se da un lato si può leggere come reazione pessimistica alle strategie degli organi istituzionali della città, pubblici e privati, dall’altro lato è un atto estremo di fiducia verso la comunità locale, cui si affida il potere e la responsabilità di concertare la strada per tornare a essere capitale del ducato. «Questo non è un programma di tre industriali, noi siamo solo ambasciatori di un progetto di tutta la città. Si parte da ciò che si ha per valorizzarlo e metterlo a fattor comune, perché di fronte alla complessità crescente del mondo dobbiamo lavorare assieme per essere i numeri uno», sottolinea Paolo Barilla, presentando il decollo operativo dell’iniziativa assieme ad Alessandro Chiesi, Andrea Pontremoli, Paolo Andrei (presidente Fondazione CariParma) e al presidente degli Industriali Alberto Figna.

L’università diventa l’ingrediente fondamentale di questa ricetta che ha già incassato la partecipazione di 45 aziende e 150 firme di adesione, con l’ambizione di creare un dipartimento Agroalimentare dentro l’ateneo che diventi riferimento mondiale e faccia da volàno a uno sviluppo sinergico nel territorio tra cibo, conoscenza e turismo. Filone su cui Parma parte con un vantaggio competitivo enorme, perché ha un’identità alimentare che vale oltre 8 miliardi di euro con eccellenze globali come le Dop del prosciutto, del parmigiano, del culatello, la stessa Barilla, l’Efsa. E non è casuale che al fianco degli industriali ci sia Andrei, che oggi guida il primo “bancomat” della città (12 milioni di euro le erogazioni programmate nel 2016 dalla Fondazione), ma arriva dall’ateneo locale dove era prorettore e professore di Economia aziendale.

Si parte concretamente il prossimo 13 giugno, con il primo laboratorio sul food all’Accademia Barilla, per proseguire il 14 giugno al Regio sul tema cultura, il 16 alla Dallara sul turismo e il 29 giugno al campus universitario per discutere di formazione e innovazione. Un centinaio i parmigiani che potranno partecipare a ogni laboratorio e la precedenza andrà ai primi iscritti alla piattaforma www.parmaiocisto.com. «Nei mesi scorsi abbiamo raccolto le adesioni informali di oltre 400 cittadini pronti a diventare parte attiva dei progetti – conclude Chiesi – ora si tratta di cominciare a dar forma alle idee e selezionare proposte condivise e realizzabili. I finanziamenti si trovano, il problema è partire».

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