Quasi 4.800 giorni o, se si preferisce, poco più di 680 settimane. È la distanza che separa Trieste da Siracusa quando si parla di durata media dei fallimenti. Nella città friulana un procedimento viene portato a termine in circa tre anni, mentre nel capoluogo siciliano servono ben 16 anni. Un divario significativo, visto che si tratta di un po’ più del doppio della media nazionale, che nel 2015 è stata pari a 7,4 anni, ovvero 2.700 giorni, rispetto agli otto anni del 2014. La sforbiciata di oltre un semestre ha riportato il valore allo stesso livello del 2006. A rivelarlo è il report «La durata dei fallimenti chiusi in Italia 2015», realizzato da Cerved utilizzando i dati ricavati dal Registro delle imprese in base alla provincia in cui l’impresa ha la sede legale, che Il Sole 24 Ore pubblica in esclusiva.
All’accelerazione ha indubbiamente contribuito il decreto legge 132/2015 sulla giustizia civile dello scorso agosto che, tra le altre cose, ha fissato in due anni il termine massimo per la liquidazione dell’attivo, pena la revoca dell’incarico per il curatore.
«Le nuove regole sembrano aver incentivato i tribunali ad aumentare il numero di pratiche lavorate - commenta Marco Nespolo, amministratore delegato di Cerved -. Tra il settembre 2015 e il marzo 2016 si registra un aumento del 13% dei fallimenti chiusi, che di fatto inverte la tendenza vista nei primi otto mesi del 2015». In quel periodo si verificò una flessione del 5% nel numero delle procedure concluse. Una prima riduzione dei tempi si è registrata prima della riforma e secondo l’ad di Cerved ciò è dovuto al minor numero di fallimenti di imprese individuali che solitamente richiedono tempi più lunghi. «Ci aspettiamo - aggiunge l’ad - che l’accorciamento della durata delle procedure si rafforzerà nei prossimi anni, quando le nuove norme saranno pienamente operative».
La conferma di questo trend arriva dai dati raccolti nel primo trimestre 2016, in cui sono stati chiusi poco meno di 3mila fallimenti, il 16% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. È stata anche registrata una riduzione della durata media, calata a 83 mesi dai 90 del primo trimestre 2015, e tra il settembre 2015 e marzo 2016 la quota di procedure liquidate entro i due anni ha superato il 20%, record nell’ultimo decennio. Dopo la riforma i tribunali che sono riusciti ad accelerare le chiusure dei fallimenti con tassi a due cifre sono quelli di Lombardia, Veneto, Lazio, Sicilia e Trentino mentre c’è stato un rallentamento in quelli di Campania, Puglia, Basilicata, Liguria, Sardegna e Umbria.
Nel 2015 le sedi più efficienti - è il caso dei tribunali di Como, Bolzano, Vibo Valentia, Crotone e Milano - hanno impiegato fra i tre e i quattro anni per chiudere un fallimento, più o meno un quinto di quanto è durato nelle province più lente (oltre alla maglia nera Siracusa, si trovano Messina e Vercelli), dove si sono superati i 14-15 anni.
«La sezione fallimentare ora conta due giudici e con l’entrata in vigore della 132/2015 si è vista un’accelerazione nello smaltimento dell’arretrato. A fine anno sono stati chiusi 110 fallimenti su uno stock di circa 600 - racconta Angelo Restuccia, commercialista, da sei anni tra i curatori fallimentari del Tribunale di Messina -. «Inoltre il lavoro della sezione è stato riorganizzato e l’organico è al completo».
Lo scorso anno i tribunali hanno emesso circa 15mila nuove sentenze di fallimento e concluso oltre 10mila procedure (+2,1% sul 2014), di cui un centinaio ultraventicinquennali. Dai dati Cerved emerge che la metà delle procedure chiuse aveva una durata inferiore ai 4,5 anni. Quando si trattava di una società di capitale l’intero iter nel 2015 è stato in media ultimato in 6,5 anni (sette mesi in meno rispetto al 2014), per le società di persone sono occorsi poco più di 10 anni (trend stabile), mentre per le imprese individuali 9 anni (-7 mesi).
Sono molte le cause che portano all’allungamento dei tempi. La società può non avere adempiuto all’obbligo di deposito del bilancio l’anno precedente alla dichiarazione di fallimento, circostanza che si ripete nell’82% dei casi, e così per il curatore diventa più difficile individuare le poste attive. Anche il numero di lavoratori coinvolti provoca rallentamenti: l’iter viene terminato entro 4,5 anni quando gli addetti sono meno di cinque; fra le 10 e le 50 persone servono in media 6,5 anni e con più di 50 addetti occorrono 8,3 anni. In passato altri stop arrivavano dal prolungarsi delle cause civili. Ostacolo rimosso con la 132/2015, che prevede l’accantonamento delle somme necessarie per far fronte al giudizio.
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