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Dossier Richemont investe su marchi e manifatture

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    Dossier | N. 8 articoliRapporto Orologi

    Richemont investe su marchi e manifatture

    Il gruppo Richemont ha le sue particolarità. Una, più di sostanza e legata allo sviluppo del business, è il gran numero di marchi di cui dispone nell'articolato mondo del lusso, con orologi e gioielli comunque sempre in primo piano. Tra questi marchi ci sono Cartier, Piaget, A. Lange & Söhne, Vacheron Constantin, Officine Panerai, Baume & Mercier, IWC Schaffhausen, Jaeger-LeCoultre, Montblanc e Roger Dubuis. Un'altra particolarità, più tecnica, è il fatto che il gruppo chiude i suoi bilanci annuali alla fine di marzo. I dati dell'esercizio 2015-2016 sono stati dunque resi noti il mese scorso.

    Il gruppo, che ha il suo quartier generale a Ginevra ed è quotato alla Borsa svizzera, ha realizzato in quest'ultimo esercizio un fatturato di 11,08 miliardi di euro, in aumento del 6% rispetto a un anno prima. L'utile netto è stato di 2,23 miliardi di euro, in crescita del 67%. Un balzo notevole questo dell'utile, ottenuto però, come lo stesso gruppo ha precisato, solo in parte grazie alla tenuta degli affari. In gran parte l'incremento del profitto netto è dovuto da un lato ai proventi derivanti dalla fusione, nel commercio online, tra la controllata Net-A-Porter e l'italiana Yoox, dall'altro al non ripetersi dei forti contraccolpi valutari legati all'impennata del franco nel gennaio del 2015, dopo l'abbandono della soglia di cambio con l'euro da parte della Banca nazionale svizzera.

    Il gruppo, presieduto da Johann Rupert e guidato sul piano operativo dal Chief executive officer Richard Lepeu, sottolinea i suoi punti di forza lungo l'arco del lusso ma indica anche gli ostacoli da superare nella fase attuale. Nel suo messaggio per la diffusione dei dati dell'ultimo esercizio, Rupert ha ricordato tra l'altro i rischi geopolitici e le conseguenze di questi sul comportamento dei clienti, il rallentamento delle vendite in Europa a partire dal novembre scorso, il contesto economico difficile a Hong Kong e Macao.

    Di contro, lo stesso Rupert ha sottolineato il buon andamento degli affari nella Cina continentale; probabilmente ciò è legato ai minori viaggi ed acquisti dei cinesi in Europa dopo gli attentati di Parigi e a maggiori acquisti in loco, ha aggiunto Lepeu. Rupert ha pure affermato che l'aumento del fatturato nell'esercizio 2015-2016 è stato ottenuto anche grazie a tassi di cambio tutto sommato favorevoli. Nel mese di aprile, il primo del nuovo esercizio, le vendite del gruppo sono scese del 15% a cambi costanti, in rapporto allo stesso periodo del 2015, ha precisato il presidente del cda di Richemont.

    Le sfide dunque non mancano e a breve termine il vertice del gruppo non si attende miglioramenti nel quadro complessivo. Ma «la nostra fiducia nella domanda a lungo termine di prodotti di alta qualità è intatta», ha aggiunto Rupert. Come altri gruppi del settore, Richemont deve giostrarsi tra costi di produzione in franchi svizzeri e vendite in molte valute del mondo. Il gruppo, che ha creato duemila nuovi impieghi in Svizzera dal 2010 ma che da inizio 2015 ha dovuto ridurre di circa 500 unità gli organici elvetici (su circa 9 mila nella Confederazione), intende comunque tenere sotto controllo i costi. Non intende però rinunciare, ha sottolineato Rupert, né alla sua estesa presenza sui mercati mondiali né agli investimenti nei suoi marchi. Su quest'ultimo versante, ci sono tra l'altro da registrare l'inaugurazione del nuovo Campus del gruppo a Meyren, nel Canton Ginevra, e il previsto ampliamento della manifattura del marchio IWC a Sciaffusa. Al di là delle sfide del momento da affrontare, il gigante ginevrino del lusso riafferma di essere ben posizionato, pronto a beneficiare di un miglior quadro dei mercati negli anni a venire.

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