Economia

Export, il nodo dei beni «dual use»

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Export, il nodo dei beni «dual use»

(Marka)
(Marka)

Le guarnizioni in Viton, un polimero a base di fluoro, sono piuttosto popolari nell’industria. Se ne trovano facilmente in commercio anche nei negozi al dettaglio. Eppure, se usate per uno scopo diverso dalla tenuta dei tubi dei macchinari industriali, dietro la loro aria insospettabile di tondini di gomma si possono nascondere pericolosi componenti per un impianto nucleare. Guarnizioni come queste rischiano di essere bloccate alle frontiere di certi Paesi: bene lo sanno alcune imprese italiane, medie e piccole, del comparto oil&gas o produttrici di macchinari semoventi, che per insignificanti dettagli come questi hanno visto sfumare interi affari.

In gergo tecnico, questi prodotti si chiamano beni “dual use”: valvole, tubazioni, turbine, ma anche software e componenti chimici anche molto comuni e diffusi che nascono per uno scopo, ma possono essere utilizzati a fini bellici o in settori oggetto di sanzioni, come per esempio il comparto petrolifero o nucleare. Di questo genere di beni si è sentito spesso parlare nel caso dell’Iran, che pure non è il solo Paese coinvolto: «In base al Regolamento Ue 428/2009 il tema dei beni “dual use” riguarda tutte le esportazioni dalla Ue verso qualsiasi paese estero, anche non soggetto a restrizioni», spiega l’avvocato Gianluca Cattani, partner dello studio Delfino e Associati ed esperto di tematiche normative legate all’export.

Secondo il Parlamento Ue, il valore delle merci duali prodotte in Europa si aggira tra i 26 e i 37 miliardi e rappresenta fra il 3 e l’8% del totale dei beni esportati dalle imprese europee. E naturalmente sono molte le imprese italiane coinvolte: le più grandi sono bene informate, ma le piccole sanno cosa rischiano?

Sgombriamo subito il campo dagli equivoci: l’export di beni duali è assolutamente legale. Vendere questi prodotti è lecito, l’importante è essere in possesso delle giuste autorizzazioni prima di arrivare alla dogana. «Esistono varie tipologie di autorizzazioni - aggiunge Cattani -: per una singola esportazione, per esempio, l’autorizzazione è rilasciata dall’Autorità preposta presso il ministero dello Sviluppo economico per un periodo di tempo determinato; deve essere sottoscritta da un legale rappresentante e deve presentare una descrizione esaustiva dei beni da esportare. Infine, la domanda deve riportare la data della stipula dell’accordo o la data del ricevimento del relativo ordine e il tipo di operazione oggetto di autorizzazione».

Una procedura che sembra complessa, ma in realtà ha un costo limitato per le imprese: «Un’analisi approfondita dei beni, utile per aiutare la veloce e positiva valutazione della domanda di autorizzazione, costa solitamente poche migliaia di euro ed è giustificata per commesse di qualunque taglia - spiega Cattani -. È poi possibile operare delle procedure interne di compliance in tema di controllo alle esportazioni, il che renderebbe i controlli doganali più snelli».

I vantaggi, in compenso, sono elevati: per via delle procedure legate al “dual use”, alcuni paesi sono molto meno presidiati dal punto di vista dell’export, perché i nostri competitor non ci vanno. E questi diventano ottime occasioni per le nostre imprese. È il caso della Russia: «Le sanzioni Usa alla Russia - osserva Cattani - sono molto diverse da quelle Ue e questo pone vantaggi per alcune imprese europee che non hanno legami con gli Usa. Queste imprese possono esportare legalmente in Russia beni che i competitor americani non possono fornire». A Mosca le più importanti opportunità riguardano l’oil&gas. Non vanno, poi, dimenticate Nord Corea, Iraq, Libia e altri paesi soggetti a sanzioni.

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