Il Comune di Milano è già al lavoro sul post-Brexit, da legare al destino dell’ex area Expo, come ha anticipato il sindaco Giuseppe Sala qualche giorno fa. Fonti vicine a Palazzo Marino lasciano capire che nei prossimi giorni il primo cittadino spiegherà meglio le sue intenzioni. Durante la presentazione della nuova giunta, ha detto che il referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, per quanto sia una cattiva notizia per la Ue, «potrebbe dare opportunità a Milano».
L’idea su cui la nuova amministrazione comunale potrebbe lavorare, in collaborazione con il governo, è creare le condizioni favorevoli affinché la Borsa londinese (London Stock Exchange) sfrutti la fusione societaria con la Borsa italiana per rimanere in Europa, utilizzando appunto la sede milanese. Piazza Affari potrebbe dunque diventare il luogo in cui gli operatori della City si trasferiscono per continuare a lavorare nel mercato europeo senza troppi contraccolpi. Londra potrebbe addirittura diventare una sede secondaria, in quest’ottica. E in questo senso la Brexit si potrebbe trasformare, come ha detto Sala, in un’opportunità per Milano, almeno per quanto riguarda l’indotto finanziario. Di qui l’ipotesi, lanciata sempre da Sala, di candidare la città a ospitare la sede dell’Autorità bancaria europea.
Ovviamente occorre creare le condizioni favorevoli, non basta l’integrazione societaria tra Lse e Borsa a rendere Milano appetibile. Luogo su cui ragionare per un eventuale trasferimento dell’attività finanziaria londinese è l’area del post-Expo. Alla società proprietaria dei terreni Arexpo sono arrivate ormai diverse manifestazioni di interesse, soprattutto nel settore farmaceutico, considerando il progetto dello Human Technopole che si concentrerà sulla ricerca in campo medico e del genoma. In questa direzione si inserisce anche la proposta del presidente, della Regione Roberto Maroni, di candidare la città a ospitare anche l’Agenzia europea per il farmaco (Ema) che attualmente ha sede a Londra. Il progetto per lo Human Technopole è attualmente in attesa delle valutazioni di alcuni esperti internazionali interpellati dal ministero per la Ricerca: cinque valutazioni sono già arrivate, l’ultima è attesa a strettissimo giro. Dopodiché il comitato scientifico guidato dall’Istituto Tecnologico di Genova, che ha redatto il progetto, accoglierà le osservazioni e consegnerà il masterplan definitivo a Palazzo Chigi, che dovrà valutare il soggetto giuridico e lo strumento finanziario per realizzare il polo.
Ma nell’ex area Expo (un milione di metri quadrati) c’è posto per ospitare diverse iniziative, compresa quella finanziaria. Il Comune, insieme a governo e alla Regione Lombardia, sta valutando la possibilità di dare vita a un regime di agevolazione fiscale per le attività produttive che si insedieranno in questa zona.
Un’ipotesi che avrebbe importanti ricadute sul territorio, in termini sia di indotto, sia di opportunità per le stesse aziende italiane, come ha osservato il presidente della Camera di Commercio di Milano e di Confcommercio, Carlo Sangalli, soprattutto nell’ottica di rendere attrattiva la città, e in particolare il sito Expo, per le società estere. «Milano ha le carte in regola – ha detto Sangalli –. Serve però un patto tra istituzioni pubbliche e privati come avvenuto per Expo». Per essere competitivi con Francoforte o Parigi occorre, secondo Sangalli, lavorare in particolare su due punti: migliorare alcune infrastrutture immateriali, come la banda ultralarga, e studiare misure fiscali ad hoc, favorevoli sì all’insediamento delle multinazionali, ma al tempo stesso non discriminatorie verso quelle già presenti in città. Che (secondo i dati dell’Ufficio studi della Cdc di Milano contenuti nel rapporto «Milano Produttiva 2016» che sarà presentato domani) sono già numerose: Milano ospita attualmente circa 3mila multinazionali, che danno lavoro a 289mila dipendenti e generano un fatturato di 169 miliardi di euro.
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