Economia

Ilva, le opzioni per far uscire l’impresa dal guado

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L'Analisi|l’analisi

Ilva, le opzioni per far uscire l’impresa dal guado

Il burrone che si affaccia sul vuoto, per l’Ilva, è alle spalle. Il purgatorio dell’amministrazione straordinaria, ultima stazione di un percorso fatto di arresti e sequestri, commissariamenti e danni profondi ai cicli di fornitura dell’industria italiana, non si è trasformato nell’inferno dell’asta deserta. Le due offerte fatte pervenire al Governo sono vere. Hanno caratteristiche - criticità potenziali e punti di forza reali – differenti.

Palazzo Chigi avrà il lusso di potere decidere fra opzioni strategiche in nulla sovrapponibili. Per una vicenda complicata come quella dell’Ilva, che in quattro anni ha sperimentato tutto il possibile, si tratta di un punto fermo non irrilevante. Scegliere Acciai Italia, la cordata imbastita su Arvedi, Leonardo Del Vecchio e la Cdp, significherebbe optare per una realtà strategica e manageriale che ha acquisito una totale italianità (nell’identità e nei capitali) dopo l’improvvisa dipartita del partner turco, Erdemir, che si è chiamato fuori all’ultimo minuto. Scegliere, invece, ArcelorMittal – con la partecipazione di minoranza di Marcegaglia – vorrebbe dire inserire l’Ilva all’interno di un gigantesco meccano globale. Sono due cose del tutto diverse.

Il progetto di Arvedi prevede l’integrazione, nel segmento dei piani, fra le produzioni elettrosiderurgiche di Cremona e il ciclo integrale di Taranto, dove arriverebbe anche la tecnologia pulita del forno elettrico. Alla fine, grazie ai molti soldi apportati da Cdp e dal fondatore di Luxottica che hanno abbondantemente neutralizzato le gracilità finanziarie e patrimoniali di Arvedi, si costituirebbe un big player italiano che, dal nostro Paese, cercherebbe di trovare una sua posizione sui mercati internazionali. Un’operazione non semplice, in un mercato che è a struttura oligopolistica e che vive in questo momento una sovrabbondanza di offerta.

Un’operazione che garantirebbe un occhio italiano su problemi italiani: non soltanto per la presenza nella compagine di Cdp, ma anche per il management, con la posizione di amministratrice delegata a Lucia Morselli, l’allieva di Franco Tatò che ha guidato il duro turnaround di Ast Terni. La scelta di Arcelor Mittal, invece, avrebbe un profilo del tutto differente. Ilva entrerebbe in una multinazionale che opera su scala internazionale. Le competenze tecnologiche, le risorse finanziarie e le economie di scala a disposizione sarebbero quelle del primo produttore di acciaio al mondo. I flussi di conoscenza e i transfert tecno-produttivi avrebbero una portata globale.

La scelta dei manager avverrebbe da una giusta comparazione fra la dirigenza trovata in Ilva o nella nostra siderurgia e la dirigenza cosmopolita che ArcelorMittal ha formato e impiega in tutto il mondo, in qualunque segmento, su ogni mercato. La produttività di Taranto diventerebbe una derivata della produttività di un gruppo che, pur nella complessità della siderurgia attuale, ha sempre mostrato efficienza e determinazione nel perseguire i propri obiettivi. L’Ilva come un tassello di un mosaico. Internazionale, dunque. Concepito e delineato non in Italia. Sono due strade del tutto diverse per un’Ilva che, in ogni caso, non è caduta nel vuoto portando con sé una città, Taranto, e un pezzo significativo dell’industria

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