Economia

Due storie esemplari di resilienza (e di idee)

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L'Analisi|la questione industriale

Due storie esemplari di resilienza (e di idee)

Ascoli Piceno e Fermo sono due storie esemplari della fatica di fare impresa tutti i giorni, nella trincea del mercato. Due territori ricchi di storia e tradizione, ma anche di cultura industriale. L’esempio di come la manifattura, che affonda le radici nell’artigianato italiano, ha saputo farsi impresa, piccola e media, e poi distretto per competere con la qualità dei prodotti. Ascoli Piceno e Fermo, le imprese e i lavoratori di Ascoli e Fermo, attraversano un perido di difficoltà per motivi tra loro diversi.

Ascoli Piceno, dopo la fine delle agevolazioni della Cassa per il Mezzogiorno ha via via visto spegnersi la spinta propulsiva dello sviluppo. Molte delle multinazionali che avevano aperto filiali nel territorio hanno chiuso.
Finiti gli incentivi e le agevolazioni, è mancata l’infrastrutturazione del territorio, è pesata la burocrazia. Il Fisco il costo del lavoro sono tornati le zavorre del resto del Paese.

La crisi ha stretto la morsa sul sistema imprenditoriale che attende l’approvazione del contatto di programma dopo aver ottenuto a febbraio scorso lo status di area di crisi complessa. La call del Mise per il Piano di sviluppo del Piceno è slittata prima a luglio e poi, molto probabilmente a settembre.

Ma il territorio non si è ripiegato su se stesso. Ha cercato, faticosamente altre strade. Ascoli Piceno è la terza provincia in Italia per numero di start-up innovative rispetto alle società di capitali. Imprese e Università del territorio collaborano su iniziative concrete di innovazione e sviluppo. Qualcosa si muove.

Di altra natura sono le difficoltà che attraversano Fermo e il suo distretto calzaturiero. Un’area del Paese altamente vocata e internazionalizzata, con imprese benchmark per qualità e innovazione dei prodotti. Fermo paga a caro prezzo, sulla sua pelle, una crisi di cui è completamente incolpevole: l’embargo alla Russia, principale Paese di destinazione delle sue imprese.

Il rischio geopolitico, temporaneo e contingente, ha affossato l’export e rischia di trascinare nel baratro imprese e distretto. La perdita per il made in Italy sarebbe enorme: rischiano di andare in fumo conoscenze e competenze, valori artigiani tramandati e innovazione spinta sui prodotti. Ecco perché il sitema Paese deve fare proprio questo problema: accompagnare le imprese su altri mercati, sentedere un paracadute fino alla fine dell’embargo russo e allo sblocco del mercato.
Serve naturalmente l’impegno per far togliere l’embargo alla Russia.

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