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Imprese driver dello sviluppo

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Imprese driver dello sviluppo

Dal 2008 è stato sottoposto agli scossoni e alle bruciature della recessione, ma è abbastanza resiliente da non rinunciare a proiettarsi verso il futuro. Il Nord-Est è, insieme, un luogo dell'anima e uno specifico economico-industriale. Ha la caratteristica di fondere – nei successi come nei fallimenti, nei salti evolutivi come nelle difficoltà – questi due profili: l'immateriale e il materiale. Lauro Buoro, presidente di Nice, rivela subito la dimensione intima e nascosta – quasi segreta – di ogni fenomeno culturale e industriale.

Qui a Oderzo in provincia di Treviso, dove ha sede la sua azienda specializzata in sistemi integrati per l'automazione, Buoro cita Giò Ponti, l'architetto e industrial designer che ha determinato un pezzo fondamentale della storia economica e del gusto estetico del Novecento italiano e europeo: «Nulla può accadere, se prima non viene sognato».

La cifra creativa dell'imprenditorialità, dall’istinto primigenio di due generazioni di imprenditori che hanno trasformato il Triveneto povero e agricolo del secondo dopoguerra in una delle aree europee a maggiore densità industriale, sta da tempo cercando di istituzionalizzarsi, fra la cultura di impresa classica – da qui la citazione di Giò Ponti – e le più diverse forme innovative, da quelle di processo a quelle più radicali. E, questo, nonostante la recessione – dura in tutta Europa, cruenta in Italia – stia rallentando la metamorfosi del nostro modello produttivo avviatasi venticinque anni fa, quando la fine del paradigma della grande impresa – con la privatizzazione dell'Iri e la ritirata del capitalismo familiare novecentesco – ha assegnato al Nord-Est una nuova centralità strategica negli equilibri del Paese.

L'innovazione – tecnologica ma anche organizzativa, industriale ma anche culturale – costituisce uno degli elementi principali del Dna del Nord-Est, che è a sua volta – con tutte le sue caratteristiche, i punti di forza e i punti di debolezza – una componente cruciale del patrimonio del capitalismo produttivo italiano. «Il passaggio dall'artigianato all'industria è ormai consegnato alla storia – riflette Stefano Micelli, direttore della Fondazione Nord Est – oggi bisogna lavorare su una nuova concezione dell'economia e dell'impresa. Alle economie di scala si appaiono le economie di personalizzazione. I mercati non chiedono esclusivamente prodotti omogenei e standardizzati. Domandano pure prodotti personalizzati. È vero: dobbiamo essere ancora più presenti nelle grandi reti. Oggi molti ci cercano, pochi ci trovano. Ma la base c'è: l'idea di lavoro e di imprenditorialità del Nord-Est è coerente con il profilo frastagliato della globalizzazione».

L'idea di lavoro e di imprenditorialità si concreta nelle reti formali e informali delle piccole imprese e nei sistemi distrettuali, nelle economie di territorio e nei tessuti manifatturieri che hanno quali snodi le medie imprese internazionalizzate. Nel sovrapporsi delle filiere, nella determinazione dei nuovi rapporti con le catene globali del valore e nella crisi finanziaria e etica provocata dai crac della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, il Nord-Est sperimenta una poliformia, insieme vitale e complicata, della dimensione innovativa.

Un caso esemplare è rappresentato dalla Irinox che, a Corbanese in provincia di Treviso, ha inventato il “forno del freddo”, l'abbattitore della temperatura oggi adoperato da un pasticcere italiano su due. Questa innovazione ricorda, con il suo profumo di quotidianità, lo spirito degli anni Cinquanta e Sessanta, quando il driver della crescita e la giovanile forza di un Paese mutarono, appunto attraverso gli elettrodomestici, le abitudini degli italiani.

«Per noi l'innovazione non è soltanto una questione di prodotto – riflette Katia da Ros, vicepresidente di Irinox – è anche una tema di governance. Nel nostro consiglio di amministrazione è entrato un amministratore indipendente. Questo ha consentito di chiarire e di migliorare le strategie. Inoltre, abbiamo managerializzato l'azienda. Il passo indietro fatto dai soci nella gestione quotidiana è risultato fondamentale».

Nella pressione esercitata dalla recessione, il Nord-Est conferma dunque la sua attitudine storica a una elevata capacità di declinare la vocazione innovativa anche nella riconfigurazione dei modelli organizzativi. È successo, nel distretto della coltelleria di Maniago in provincia di Pordenone, alla Due Ancore: «Il chilometro zero? – si chiede con ironia il presidente Andrea Girolami – La nostra azienda lo applica con i fornitori. Noi disegniamo i coltelli. I fornitori che si trovano nel raggio di quattro chilometri si occupano della manifattura. Infine, spetta a noi il controllo di qualità».

Nella disarticolazione provocata dalla recessione negli equilibri del capitalismo produttivo italiano, la caratteristica del Nord-Est sembra essere – nelle imprese virtuose – la multidimensionalità del concetto di innovazione. Per esempio, la Due Ancore ha investito anche sul marchio, sul marketing e sulla comunicazione. Con la sua innovazione a più dimensioni, il Nord-Est ha cercato di consolidare – deve sempre più consolidare – la sua identità e la sua reputazione. Raccontando che cosa è e che cosa fa. E, dunque, dove va e dove vuole andare. «Durante la Serenissima – ricorda Micelli – chi raccontava i segreti del vetro fuori da Venezia veniva imprigionato. Oggi non è più così. Raccontiamo il Made in Italy. Parliamo al mondo. Coinvolgiamo i clienti. Descriviamo chi siamo. Noi del Nord-Est e noi italiani. Anche questa è innovazione»

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